Le trame dell’arte
Elena Dmitrievna D’jakonova nata nel 1894 a Kazan, in Russia, tra le steppe del Tatarstan.
Figlia di intellettuali e già circondata da influenze artistiche, era una piccola creatura in balia del futuro, neonata in quel mondo che ella stessa saprà plasmare con indiscussa abilità.
Quale futuro quindi l’attende?
Noi lo sappiamo bene… Il futuro di ogni bambino è impresso nella primissima proiezione consapevole che ha di un sé stesso adulto, e come tutti i bambini un giorno Elena si chiese:
“Cosa voglio fare da grande?”
La risposta segnò per sempre il suo avvenire, irreversibilmente, lei voleva diventare
Opera d’arte
Questo fu, e oggi, così come per l’eternità, lei sarà
GALA
la musa ispiratrice, spietata e controversa, che nacque di carne e ossa e… Mano a mano, perse umanità per poi tramutarsi, infine, in statua di Dea immortale, divinità che troneggia ancora nel suo castello, tempio sede di un corpo imbalsamato un tempo desiderio viscerale di ogni artista, in quel Surrealismo che plasma desueto in astratta forma.
Una realtà priva di schemi e spesso, come in questo eccessivo caso, di morale… Almeno per come la concepisce la società in cui viviamo e procreiamo.
Facile giudicare, facile condannare. Ci sono caduta anche io nella difficoltà di mantenere una obiettiva analisi dei fatti, viene facile puntare il dito, molto facile in questo caso… Ma lasciatemi raccontare…
Questa inquietante perturbazione arrivò dalla Russia e sconvolse il mondo artistico surrealista, in una Francia culturalmente gravida di artisti.
Tutto cominciò in un sanatorio dove Gala incontrò un giovane poeta, Éluard, che sposò nel 1917.
Le prime opere dell’artista nacquero fervide al fianco della donna, ispirazione quasi disumana, fiumi di poesie e lettere d’amore sgorgavano ininterrottamente.
Ma questo a lei non bastava, così Gala coinvolse Éluard in un perverso ménage à trois, con Max Ernst, pittore surrealista, uno strano intreccio a cui tutti e tre non riuscivano a rinunciare e che creava frustrazione, ma al contempo ispirazione artistica, nell’instabilità e la precarietà di controversi sentimenti.
Per ben tre anni li legò a lei che divenne a sua volta la loro Dea, indomabile, in grado di irretire anche le più spiccate genialità dell’epoca e farle schiave del suo volere.
Perché?
Cosa aveva di speciale questa donna?
Guardando le foto non era particolarmente bella, non era un’artista, e allora… Cosa?
“La bellezza da sola non basta. Senza amore, tutto il resto è perduto, perduto, perduto, un insieme sgradevole di contrattempi e veleni ignobili e disgustosi.
Non c’è vita senza amore.
Ed io, mia piccola Gala, ti amo infinitamente.
Non credo affatto alla vita, credo in te. Questo universo che è mio e che si mescola alla morte non può entrarci che con te. E’ fra le tue braccia che esisto. E dentro i tuoi occhi, fra i tuoi seni, fra le tue gambe che non mi spegnerò mai.
Il resto, è solo una grande miseria che sogna solo di crollare. Sono incredibilmente triste e confuso. Ho abusato troppo della vita. E ti amo troppo, lo dico con ardore, con fede, di sogno in sogno, ho cambiato universo, sono passato nel tuo.
Guardati nello specchio, e guarda gli occhi che amo, i seni che amo, il sesso che amo, le belle mani, ascolta come parli, mia unica amica, capisci perché comprendo solo il tuo linguaggio, perché ti lascio libera, e quale gioia ricavo dalla tua, perché ti voglio audace e forte e fatta a tua immagine e somiglianza, secondo la tua volontà che è anche la mia, e che si è meravigliosamente elevata, come la mia, sul nostro amore.
Ti adoro e ti abbraccio dappertutto.”
Paul Éluard
Questo e tanto altro ancora scrisse il poeta dopo averla persa, nel desiderio che lo consumò per tutta la vita, insieme al frutto del loro amore, Cècile, che Gala abbandonò inseme al marito e mai più cercò lasciandoli scivolare in secondo piano e ponendo come unico scopo l’ambizione e la passione senza limiti ed etica apparente.
Gala era un vampiro, succhiava essenza e da quella attingeva forza per propagare il suo fascino perturbante e insinuare nei suoi uomini la linfa necessaria per accrescere le loro doti e divenire essi stessi grandi eterni creatori di arte, precursori che senza Gala non sarebbero sbocciati né fioriti nella completezza della loro leggenda.
Questo fa una Musa, anche spietatamente, e lei questo era, crudele e fecondatrice di opera eterna, come poi lei stessa divenne. Un dare avere senza scrupoli, domanda e offerta oltre le leggi del mercato.
Gala seduceva, amplificava i sensi dei suoi amanti e poi li abbandonava.
Dopo Éluard e Ernst, ormai entrata nell’élite dell’ambiente surrealista, poteva spaziare, desiderare e ottenere con tenacia la realizzazione di ogni suo intento, stimolata ed essa stessa stimolo di arte.
Così successe che nel 1929, insieme a un forbito gruppo di amici, si recò a far visita ad un giovane emergente pittore in Catalogna, tale Salvador Dalì.
Da qui inizia la travolgente passione e da qui si fonde in unico corpo quello che sarà per sempre
Gala Dalì
Salvador Dalì confessò più volte che Gala era colei che lo salvò dalla pazzia e dalla morte prematura e infatti ben presto lei divenne per lui donna, madre, nonché il suo agente, il tramite indispensabile che gli era necessario per traslare il proprio genio nel mondo reale.
Dalì non si oppose mai alle relazioni extraconiugali di Gala, sembrava quasi la incoraggiasse o forse cercava semplicemente di soddisfare al meglio la donna che amava, con ogni mezzo.
C’è chi dona gioielli alla propria amata, chi invece amanti, come in questo paradossale caso.
Ma tralasciando il “gossip”, nulla toglie che Gala fu la sua principale modella nonché l’ispirazione massima che estrapolò il genio più prorompente, il genio divenuto suddito della propria musa.
Gala morì in Spagna nel 1982, il suo corpo, per volere di Dalì, fu fatto imbalsamare e collocare in una cripta nel castello di Pùbol, in Catalogna, che lui stesso aveva comprato per lei e che divenne la tomba degna di un faraone, un Dio eterno.
“Di un sol colpo tutti i miei Parsifal erotici si risvegliarono. I nostri denti su urtarono e le nostre lingue si allacciarono, non era che l’inizio di una fame che ci spingeva a mordere e a divorarci fino in fondo”
Salvador Dalì
Personalmente credo non ci sia nulla di più travolgente di una passione che poi diviene amore.
Questo astratto sentimento è difficile da definire e possiede in sé un motore che muove l’universo intero. In ogni sua forma va rispettato e mai giudicato. Così come sono convinta che per un artista il solo riuscire a spaziare sulle alte vette che questo sentimento può far raggiungere, sia la meta più ambita e non sempre raggiungibile, in pochi riescono e quasi sempre è letale… Ma morire con il sorriso della grazia è il quadro surrealista più bello.
Sono concetti non facili, contraddittori, inquietanti, ma qualche riflessione può nascere. Vi invito a esporre i vostri punti di vista al riguardo… Per quanto concerne l’amore le parole non sono mai troppe.
Prossima settimana entreremo più a fondo nel campo pittorico. Io, con la dovuta umiltà, scriverei di Amedeo Modigliani… Mio idolo indiscusso.
A presto.
Sabrina Casani