Il ventitreenne regista russo Vladimir Beck ha scelto la Festa del Cinema di Roma per presentare in prima mondiale Little Bird. Si tratta del suo primo lungometraggio: un film delicato sul difficile momento della fine dell’infanzia. “Un giorno ti svegli e non riesci a toglierti una persona dalla testa. Non importa che tu abbia 14, 26 o 70 anni. E non ti interessa se il tuo amore sia corrisposto. Inerme, ti senti in pena, non sapendo cosa fare, cercando un modo per liberarti del nome e dell’immagine che ti tormentano. Come uscirne? Cerchi di accantonare quella persona, di dimenticarla. Ogni giorno è più difficile. Provi a dare un nome ai tuoi sentimenti, ma le etichette non ti salveranno, non c’è niente da fare: ogni giorno ti svegli con il nome di qualcuno sulle labbra, col suo profumo nelle narici. Sono cose che accadono, e tu non puoi farci niente: arrivano e poi scompaiono senza lasciare traccia. Little Bird non è un film sul primo amore, perché non è importante che sia il primo. Non importa nemmeno che sia amore. È un sentimento indefinibile che travolge il mondo dei protagonisti allontanandoli dalla realtà, catturandoli e consumandoli. Il campo è una gabbia, un mondo chiuso, senza via d’uscita. Non potrà mai esserci una definizione: “infatuazione”, “tenerezza”, “amore”, “passione” non sono altro che parole che utilizziamo nel disperato tentativo di padroneggiare l’insondabile universo dei sentimenti”, ha dichiarato Beck nelle note di regia. Un racconto lirico e sentimentale, filtrato dallo sguardo sincero di chi si prepara a diventare adulto.
In conferenza stampa, il regista e la produttrice del film Elena Yatsura hanno incontrato i giornalisti:
al regista: la fine dell’infanzia è un momento traumatico. Ha preso spunto dalla sua esperienza personale?
Beck: “Sì, è la mia storia personale, sono i miei turbamenti. Mentre giravo il film riflettevo sul fatto che il passaggio dall’infanzia all’età adulta è il momento più doloroso della nostra vita. Capire che cos’è, come viverlo, mi turba al punto che è non riesco a staccarmene. Vi avevo realizzato già un corto e un mediometraggio: è un tema che continuo a sviluppare e approfondire per il valore del dolore insito”.
al regista: quali sono i suoi riferimenti cinematografici?
Beck: “Fin da piccolo ho amato tutto il cinema, non divido tra il cinema d’autore e quello commerciale. I miei riferimenti sono il cinema francese e quello italiano, quindi Fellini, Visconti, Antonioni. Del cinema contemporaneo seguo il regista messicano Carlos Reygadas, di cui apprezzo la capacità di superare il quotidiano, e certamente Paolo Sorrentino”.
al regista: la natura intimistica di questo film è voluta?
Beck: “E’ il sentimento a interessarmi, ma non può essere espresso attraverso le parole, va oltre. Ha a che fare con i sensi, e tra questi il tatto. Per capire la più alta dimensione dell’uomo la chiave è quella della fisicità, della nudità. L’intimità e la nudità hanno qualcosa in comune, aspetto che avevo già trattato nel mio primo cortometraggio, intitolato Senza pelle. Spogliare i protagonisti per me vuol dire metterli a nudo nei sentimenti”.
al regista: come ha lavorato con gli attori più giovani? Erano consapevoli dei sentimenti raccontati nel film?
Beck: “La coscienza dell’attore secondo me non è necessaria al cinema. Il regista deve creare uno spazio dove l’attore sia capace di dare il meglio. Nel lavoro con gli attori voglio che siano capaci di esprimere un sentimento unico, che loro stessi provano. Questa è la forza dell’espressione”.
al regista: i film sentimentali ultimamente non hanno avuto molto successo nel cinema mondiale. Ha mai pensato di cambiare genere, per motivi commerciali o per crescere come autore?
Beck: “Sto lavorando a un film diverso, ma continuerò a fare film solo su quello che mi turba e mi emoziona, in quest’ottica il genere è secondario. Riconosco che il linguaggio intimistico è poco adatto ai tempi moderni, ma non mi interessano i film sociali”.
al regista: nel film si può notare una contraddizione. Da un lato l’aderenza alla cultura russa, romantica, lirica, appassionata, fatta di sfumature e profondità di sentimenti, e dall’altro il desiderio di allontanarsi da questa estetica.
Beck: “Questa contraddizione è presente. Un momento importante per il cinema russo è stato negli anni ‘90, quando ha perso il legame con il cinema europeo, perdendo anche la propria identità. Oggi esistono due scuole di pensiero: una tendente all’indagine sul nostro cinema di oggi, l’altra che produce un cinema di convenienza. Per noi non è possibile assomigliare al cinema francese o a quello italiano. Sta nascendo una nuova generazione di cineasti russi che intende recuperare il cinema degli anni ‘90, scegliendo la dimensione dei sentimenti”.
Yatsura: “In Russia è cambiato il modo di fare cinema e anche il pubblico che va al cinema. È nato un pubblico cinefilo che ama il cinema d’autore europeo, ma che non trova corrispondenze nel cinema russo. A questo proposito, ho fiducia nella nuova generazione di cineasti che colmerà questa lacuna”.
alla produttrice: quanto è difficile in Russia produrre il film di un giovane regista?
Yatsura: in Russia produciamo molte opere prime, per lo più cortometraggi. Per produrre un’opera prima bisogna trovare un budget e un regista esordiente: se è capace e racconta una bella storia, il produttore trova le finanze. Credo molto in questo regista e in questo film. È un film a basso budget, ma che racconta una grande storia”.