Roberta Provenzani e la sfida del teatro. Anche in pandemia

Con la collega Martina Martone ha fondato "Le Patrizie": usare la creatività artistica e culturale come strumento di prevenzione del disagio

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Roberta Provenzani
Roberta Provenzani

L’attore non recita, non imita, o pretende. Egli è se stesso”. Jerzy Grotowski.

Con questo principio ispiratore si apre il sito Le Patrizie, associazione culturale di Roberta Provenzani e Matina Martone. Attrici, registe e docenti di recitazione, si conoscono e iniziano a lavorare insieme nel 2013. Realizzano corsi di recitazione, laboratori teatrali, di doppiaggio e teatro – benessere e producono diversi spettacoli teatrali per bambini, adolescenti ed adulti. I loro ambiti di intervento, anche nel sociale e nella sanità, mirano all’utilizzo della creatività artistica e culturale come strumento di prevenzione del disagio e di promozione dell’agio nei confronti dei giovani. L’Associazione, inoltre, vuole proporsi come luogo di incontro e di aggregazione nel nome di interessi culturali assolvendo alla funzione sociale di maturazione e crescita umana e civile. Trascinate dal desiderio di un teatro sociale, sperimentale e innovativo, Roberta e Martina, scrivono e producono spettacoli che stanno partecipando ai maggiori festival italiani. Nell’anno 2020, complice il lockdown, si dedicano anche ai corsi online e ai cortometraggi cinematografici per continuare in sicurezza le loro attività. A ottobre 2020, infine, decidono di aprire la loro sede operativa dando vita al Teatro Studio Sei Art-Culture-Show, divenuto da subito punto di riferimento del quadrante est di Roma per le attività associative, culturali e teatrali.

Come nasce la tua passione per il teatro? Sarò sincera… se escludiamo l’indole logorroica e la tendenza a cercare il centro dell’attenzione, non sono una di quelle persone che ha fotografie delle recite delle elementari o narra di tutte le volte che ha sognato il palcoscenico… Ho scoperto l’attrazione verso quella magia al liceo e piano piano si è radicata in me la convinzione che avrei voluto fare in modo che quel posto fatto di prove, polvere e luci fosse parte della mia vita.

A ottobre 2020, in pieno Covid, aprite Teatro Studio Sei, una vera e propria base operativa per le vostre numerose attività. Quanto coraggio ci è voluto a fare un passo simile in tempi come questi? Ancora non ci posso credere che lo abbiamo fatto davvero. Io e Martina Marone, la mia socia, venivamo già da 7 anni di lavoro condiviso ma ambedue avevamo anche altre realtà lavorative. La pandemia ha cambiato tutto. Ha affrettato quel processo di emancipazione e di indipendenza al quale già da tempo aspiravano. All’inizio ci eravamo dette solo di prendere un locale come base operativa dell’associazione… Dove tenere i libri associativi, e tutto il materiale amministrativo di cui una Aps necessita… ma poi diciamo che ci siamo fatte prendere la mano… E giorno dopo giorno in pochi mesi, da ottobre 2020 a maggio 2021, abbiamo costruito un vero e proprio spazio teatrale, aprendo le porte al territorio.
Grandi alleate di questo atto di coraggio sono state sicuramente le nostre famiglie e (cosa non scontata) le famiglie dei nostri soci che in quei mesi di lockdown e crisi hanno comunque continuato a sostenerci e si sono impegnate fisicamente ed economicamente per fare in modo che Teatro Studio Sei divenisse una realtà aperta ai loro figli e alla comunità.
Inoltre molti nostri amici, professionisti dello spettacolo, hanno sposato la causa e ci sono stati di supporto in tanti progetti e iniziative.
Insomma, noi il coraggio lo abbiamo anche avuto, ma senza l’affetto e l’impegno di tante persone, non so se Teatro Studio Sei sarebbe diventata questa bella realtà!

Roberta Provenzani in scena
Roberta Provenzani in scena

Vi chiamate Le Patrizie, cosa c’è dietro alla scelta di questo nome? Storia lunga ma cercherò di essere breve. Io e Martina ci siamo conosciute nell’ottobre 2013, ma di nome già sapevamo chi era l’una e chi l’altra in quanto ci eravamo palleggiate e contese qualche anno prima la parte di Patrizia in un adattamento teatrale de “La banda della Magliana”. Quindi tra di noi non scorreva proprio buon sangue… Quando ci siamo trovate poi a dover decidere il nome dell’Associazione, ci ha fatto molto ridere ricondurre tutto a quel passato che ci vedeva rivali! E poi… Intuivamo che potesse essere una domanda per le future interviste!

Proponete numerose attività per i bambini. Che rapporto c’è tra il teatro e i più piccoli e come li aiuta a formarsi e a crescere? Se partiamo dal presupposto che faccio l’attrice e la regista per non smettere mai di giocare al gioco “facciamo che io sono…”, mi verrebbe quasi da risponderti che in realtà la crescita e la formazione del bambino all’interno dell’attività teatrale, è direttamente proporzionale alla mia di crescita e di formazione. Comunque in tanti anni di questo lavoro, ho sicuramente riscontrato alcuni punti focali comuni nell’età dell’infanzia. Durante il laboratorio infatti si lavora moltissimo sulle emozioni e sulle diverse modalità di comunicarle… Questo fa sì che i bambini siano più aperti al dialogo e abituati allo scavare dentro se stessi alla ricerca di “ciò che gli fa male e ciò che gli fa bene“.
Questo continuo porre l’attenzione, acuisce delle percezioni che il bambino ha innate facendo sì che prenda fiducia in se stesso e piano piano, impari a fidarsi e ad affidarsi a un piccolo gruppo che magari diventerà la sua comunità.

Per gli adulti organizzate laboratori di (R)esistenza teatrale. Vi hanno aiutato ad affrontare la pandemia? A me e Martina sicuramente sì! Ci hanno fatto sentire utili! Ma soprattutto ci hanno reso evidente quanto la funzione dell’arte sia di utilità primaria! Infatti al pari del lavoro, del cibo e di tutte le esigenze che le persone hanno quotidianamente, la ricerca artistica induce quel benessere senza il quale a volte non si avrebbe la forza per portare a termine le attività primarie. Per non parlare poi di ciò che la condivisione può creare. Allevia la solitudine, fa percepire che i nostri problemi, i nostri bisogni non sono solo nostri ma appartengono a tutti.

Oltre che attrice sei anche regista. Recentemente hai diretto Le destine de Carmen al Teatro Argentina, che effetto fa un palco come quello? È stata una delle esperienze più grandiose della mia vita! Lo sai però cosa mi ha colpito? Pensavo che mi sarei potuta sentire in difficoltà in una dinamica così gigante rispetto a quelle che abitualmente frequento… E invece no! Mi sono trovata a fare le stesse cose che faccio quotidianamente, creare, inventare, dirigere, solo che più in grande! Fare la regia di un’opera lirica in un teatro che è sempre stato nei miei più ambiziosi sogni, è stato immersivo e totalizzante. Ed è solo grazie alla fiducia che Roberto Cresca (Direttore Artistico del Mithos Opera Festival, tenore e primo attore dell’opera) ha riposto in me, che questo sogno si è realizzato! Devo molto a lui! Ma soprattutto devo a lui la spensieratezza, la passione, la creatività che in ogni singolo istante di prove abbiamo condiviso rendendo anche questo importante appuntamento, il meraviglioso solito gioco del teatro che tanto amiamo.

Nella vostra scuola di recitazione avete anche un corner per il book crossing, con una particolarità: invitate a lasciare un post-it con un pensiero sulla prima pagina del libro. Dicci di più. Ecco, forse questo è uno dei progetti che va più a rilento… Io ci tengo moltissimo ma tra pandemia, audiolibri (che peraltro adoro) e fruizione digitale, devo dire che è sempre più difficile avvicinare le persone al buon vecchio libro di carta… Questo non è assolutamente valido invece per i più piccoli, che vedono nel libro una sorta di magia, amplificata dall’idea dello scambio, della provenienza e del viaggio del libro stesso. Quindi, diciamo che più che pensieri, sulla prima pagina possiamo trovare facilmente geroglifici con significati ai più nascosti, ma che sicuramente troveranno altri piccoli occhi curiosi che li sapranno interpretare!

A chi vuole fare del teatro la propria vita, come voi, cosa diresti? Soprattutto, oggi è possibile vivere, non solo spiritualmente ma anche concretamente, di teatro? No. Non è possibile vivere di teatro se si pensa di rimanere a casa e aspettare la chiamata, aspettare che qualcuno ci noti, comprenda, gioisca e ci paghi per il nostro talento, la nostra bravura o la nostra lunga formazione. No, così è molto difficile.
Ma se invece si riesce guardarsi intorno con sguardo creativo e ci si inventa; se si perlustrano le strade vicine a noi e che magari scorrono parallele a quella principale ogni tanto intersecandola; se si trovano compagni di viaggio, colleghi, amici in cui riporre fiducia; se si capisce che l’invidia, il pressappochismo, la necessità di primeggiare sono ostili all’arte, allora forse sì. Si può inventare e dirigere la propria vita, come fosse uno spettacolo. E di quello vivere!