Sta per finire un ciclo nel Lazio, non in Lombardia

Editoriale politico del Direttore Andrea Titti sulle prossime elezioni regionali in Lazio e Lombardia

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D'Amato e Zingaretti

Dieci anni di governo, anche quando le circostanze politiche nazionali non erano favorevoli non sono pochi. Così come, dopo 10 anni è più che naturale, oseremmo dire necessario e salutare, che al vertice di una istituzione ci sia un ricambio.

E’ così che la classe dirigente del Partito Democratico poteva approcciarsi a quella che si annuncia come una probabile sconfitta il prossimo 13 Febbraio, ponendo le basi per ottenere, a buon diritto, l’onore delle armi, sia dai vincitori, sia dai propri dirigenti nazionali, che di certo non potranno imputare nulla, visti i disastri e le macerie generate.

Si perché la probabile sconfitta più che nei numeri, è nelle cose della politica. Dopo i primi 5 anni, in cui si avvertiva un certo slancio, la seconda legislatura Zingaretti è stata obiettivamente opaca, segnata da scandali che, solo grazie ad un circuito mediatico amico, non hanno travolto la compagine del centrosinistra. A parti invertite non sarebbe stata la stessa cosa.

Come nel miglior stile Tafazzi invece, i dem ed i loro alleati, una coalizione piuttosto striminzita nella patria di Piazza Grande e del Campo Largo, hanno scelto di scappare, lasciando praticamente solo il povero Alessio D’Amato, come se non fosse l’anima di questi 10 anni di governo, ma un candidato imposto dall’odiato tandem Calenda-Renzi.

A D’Amato va riconosciuta la voglia di combattere e di battersi, contro il centrodestra, ma a volte anche contro il suo partito, di cui non parla troppo a dire il vero.

A simboleggiare lo stato dell’arte è stato l’atteggiamento di Nicola Zingaretti, letteralmente desaparesido in campagna elettorale, se si esclude una apparizione l’ultimo giorno, che non crediamo finirà negli annali.

Percarità, il coraggio non è mai stato la cifra dell’ex segretario, ma un pizzico di amor proprio, tanto per metterci la faccia, insieme a quella che è stata la sua classe dirigente, nel momento del possibile commiato, sarebbe stato un bel gesto, di quelli che fanno comunità. Invece niente, una volta preso il seggio parlamentare, da anni anelato, arrivederci a tutti, in primis agli esponenti di quella che si definisce come corrente zingarettiana, costretta a chiedere il soccorso dei franceschiniani per provare a mettere in sicurezza l’elezione del proprio alfiere.

Fa una certa tristezza vedere una sinistra costretta a tifare per una bassa affluenza alle urne, unico scenario che renderebbe la sconfitta meno amara, permettendo loro di raccontare la storia di un recupero, a cui nessuno crede, e alcuni neppure sperano.

In questo è giunto il solito soccorso rosso del circuito mediatico di cui sopra, che mentre dipinge il governo Meloni in caduta libera, è impegnatissimo nel silenziare la notizia del voto nelle prime due regioni italiane, Lazio e Lombardia, confidando nell’astensionismo, timoroso che, come spesso accade, le urne possano smentire, anche piuttosto fragorosamente, la sua narrazione.

L’appello al voto disgiunto verso gli elettori del Movimento Cinque Stelle, unito al ritornello sulle stagioni di Francesco Storace e Renata Polverini, risalenti alla preistoria della politica, con cui l’attuale destra-centro ha poco a che vedere se si rammentano le cronache politiche ed i protagonisti di quegli anni. sono il segno di un vuoto pneumatico che sta divorando i dem, più presi dalle vicende congressuali interne che dalla realtà della società che dovrebbero interpretare.

Caso opposto si presenta quello della Lombardia, dipinto come disastroso, ogni volta sull’orlo del tracollo, il regno lombardo del centrodestra, se pur con mille problemi, resiste, e anche stavolta, dovrebbe confermarsi, con numeri molto superiori alle attese degli analisti.

Insomma, concludendo il ragionamento, queste elezioni regionali che nessuno nell’opposizione e nei media, tranne Enrico Mentana, vorrebbe che ci fossero, potrebbero fare molti più danni a sinistra delle pur devastanti elezioni politiche del 25 Settembre, ed avere una portata forse persino più profonda.