Assessore Ciafrei, nel quarantesimo anniversario della scomparsa di Franco Basaglia Velletri lo ricorda con lo spettacolo “La rivoluzione nella pancia di un cavallo”, curato dalla cantautrice e psicoterapeuta Daniela Di Renzo in collaborazione con Psichiatria Democratica e Memoria ‘900. L’Assessorato da lei guidato ha sposato il progetto, quali motivi vi hanno indotto a supportare questa esperienza artistica e impegnata?
“Sono molto legata alla figura di Basaglia, che è stato un medico rivoluzionario sia per la sua apertura di pensiero sia perché è riuscito in maniera più o meno concreta ad applicare il suo pensiero alla società. Credo che questo sia un momento in cui dobbiamo ricordare i grandi personaggi che hanno rivoluzionato il modo di guardare alla diversità e penso che l’arte, e in questo caso il teatro, sia uno dei modi migliori per diffondere la conoscenza e il pensiero di chi non è più così conosciuto, soprattutto alle nuove generazioni, e per ricordare a tutti da dove veniamo, che fatica abbiamo fatto per arrivare fino a qui e quanto ci costa dal punto di vista umano e sociale fare passi indietro”;
Lo spettacolo sarà preceduto da un convegno organizzato dal Comune e dall’entourage che lavora anche al progetto intorno alla spettacolo: che spirito si avrà nel convegno, e quali realtà vi parteciperanno?
“Il convegno è stato pensato per dare una cornice teorico-pratica allo spettacolo, per riflettere sulle nuove prospettive dei servizi psichiatrici a quaranta anni dalla legge. Abbiamo cercato di mettere insieme vari attori che si occupano di psichiatria, in primo luogo i servizi territoriali quindi la ASL RM6 e il CSM di Velletri, e il Liceo delle Scienze Umane veliterno con cui il CSM ha un rapporto ormai da anni. Interverranno inoltre Psichiatria Democratica e le docenti dell’ Accademia delle Belle Arti di Roma del corso per la formazione di operatori artistici a servizio della riabilitazione, e l’autrice dello spettacolo La rivoluzione nella pancia di un cavallo. Insomma abbiamo messo in piedi una piccola “comunità terapeutica”;
Nel suo ruolo istituzionale ha sempre mostrato molta attenzione verso gli ultimi. Quanto è attuale oggi il ragionamento di Basaglia, e il suo modo diverso di “affrontare la questione”, nel rapporto tra il medico e il paziente e in quello tra il ‘normale’ e il ‘diverso’?
“Sicuramente vanno mantenuti fermi i principi anti-manicomialisti e il riferimento al territorio come luogo principale di cura e accoglimento, certo è che molte cose vanno ancora migliorate e numerosi studi hanno dimostrato che il trattamento della malattia mentale non può risolversi soltanto con interventi di tipo sociale. Quello che invece oggi dovremmo ricordare è che la diversità è parte della natura umana e va rispettata, accettata e accolta. Riprendere il ragionamento di Basaglia, ampliarlo oggi a varie categorie, e rifiutare, come fece Basaglia all’epoca, un sistema sociale e politico che crede di poter negare e annullare le proprie contraddizioni allontanandole per sembrare una società perfetta, ma che di fatto crede di risolvere i problemi escludendo e emarginando determinate categorie è quanto mai necessario. Come ancora oggi dice lo slogan dei servizi di Trieste “La libertà è terapeutica” e questo secondo me è un principio che potrebbe e dovrebbe essere applicato in molti campi, non solo in psichiatria”;
Tornando allo spettacolo, a suo avviso arte e medicina, psicoterapia e teatro, sono mondi che si avvicinano? Cosa la affascina di questo progetto, dal titolo così eloquente e dedicato ad una figura capitale del Novecento proprio nell’ambito sociale?
“Anche in questo caso io non credo nella settorialità, anzi credo proprio che più siamo intersettoriali e più permettiamo a vari mondi di contaminarsi più ci arricchiamo e facciamo un buon lavoro. Quindi penso che arte, medicina, psicoterapia e teatro – anche se lontani – possano supportarsi a vicenda e collaborare: ne avremo dimostrazione pratica il 15 marzo. Infatti, dopo la conferenza, nel pomeriggio ci saranno laboratori gratuiti e aperti a tutti organizzati dal CSM e dall’ Accademia delle Belle Arti proprio a dimostrare che sono mondi che possono lavorare insieme per raggiungere obiettivi terapeutici. Come ho già detto l’arte, e in questo caso il teatro, è un mezzo potentissimo di diffusione e conoscenza. Trovo il progetto molto valido e importante. Il titolo richiama l’opera collettiva Marco Cavallo, appunto un cavallo di quattro metri realizzato dai pazienti del manicomio di Trieste, che contiene desideri, sogni e soprattutto è visibile, è impossibile non vederlo. Qui sta il fascino suggestivo del titolo dello spettacolo e della figura di Basaglia: dare visibilità a chi viene tenuto nascosto ed emarginato, sensibilizzare il pubblico, per far sì che ognuno si faccia carico della battaglia per la libertà e per il riconoscimento della dignità della persona nel momento in cui questa, ancora oggi, viene negata”.