A Palazzo Chigi di Ariccia il convegno dell’Amci di Albano: “Alla sera della vita. Farsi vicini con competenza ed empatia”

Si è svolto sabato 26 ottobre, nella Sala Maestra di Palazzo Chigi, ad Ariccia, il convegno “Alla sera della vita. Farsi vicini con competenza ed empatia”, a cura dell’AMCI (Associazione Medici Cattolici Italiani) della sezione di Albano e dedicato ai temi del fine vita, delle cure palliative e della medicina di prossimità.

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Si è svolto sabato 26 ottobre, nella Sala Maestra di Palazzo Chigi, ad Ariccia, il convegno “Alla sera della vita. Farsi vicini con competenza ed empatia”, a cura dell’AMCI (Associazione Medici Cattolici Italiani) della sezione di Albano e dedicato ai temi del fine vita, delle cure palliative e della medicina di prossimità.

L’introduzione ai lavori, moderati da Emanuela Vinai, giornalista dell’Agenzia Sir, è stata curata dal presidente della sezione di Albano dell’Amci, Fausto Antonio Barbetta che ha sottolineato l’importanza e l’attualità dei temi affrontati dai relatori: argomenti che interrogano tutti, credenti e non credenti, operatori del settore sanitario e non: «Il sottotitolo del nostro convegno – ha detto Barbetta – è “Farsi vicini con competenza ed empatia”: farsi prossimi è una scelta, ma va fatta mettendo a disposizione le proprie conoscenze e la propria preparazione, ma con umanità e amore. Questo convegno vuole essere anche un invito a riconciliarci con il momento del fine vita e la morte».

La mattinata si è aperta con i saluti del sindaco di Ariccia, Gianluca Staccoli, del commissario straordinario della Asl Roma 6 Francesco Marchitelli, del direttore sanitario della stessa Asl Vincenzo Carlo La Regina, di Flavio Napoleoni, presidente della Fondazione Bcc Colli Albani e di don Michael Romero, direttore dell’ufficio diocesano per la Pastorale della Salute.

Filippo Maria Boscia, presidente nazionale emerito dell’AMCI, ha affrontato il tema del fine vita, percorrendo la via laica e la via della Chiesa alla questione, da incastonare in un percorso di armonia, con un originale parallelismo tra il momento della nascita di un bambino e la sera della vita.

Dopo Boscia, Alberto Maria Gambino, professore ordinario di Diritto privato e prorettore vicario presso l’Università degli Studi Europea di Roma, e presidente di Scienza & Vita, ha affrontato il tema dal punto di vista giuridico-legislativo, con particolare riferimento alla sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale, che ha individuato una specifica e circoscritta area di non punibilità per il reato dell’aiuto al suicidio: «La logica dell’accompagnamento della persona nel fine vita – ha detto Gambino – è l’unica via rispettosa della dignità umana, del divieto di discriminazioni, e della solidarietà sociale. In una prospettiva di proposta legislativa, sarà necessario prendere le mosse dal ruolo delle cure palliative, dalla previsione di strumenti di assistenza, dalla volontà di non stravolgere le finalità e il ruolo del Servizio sanitario nazionale, da una nuova discussione circa la libertà di rifiutare le cure e dei suoi confini».

Il tema “Dare ragione della speranza. C’è sempre una ragione per vivere, qual è la tua?” ha invece accompagnato la riflessione proposta dal vescovo di Albano, Vincenzo Viva: «La vulnerabilità – ha detto Viva – è una caratteristica intrinseca della vita umana. Da quando nasciamo, siamo esposti a rischi, malattie e incertezze che segnano il nostro cammino, fino all’esperienza della vecchiaia e della morte. Questa condizione di fragilità, spesso vista come un limite, è in realtà una parte essenziale della nostra esistenza che ci rende profondamente umani. Nella prospettiva cristiana, la vulnerabilità non è solo un aspetto della vita terrena, ma anche un momento di grazia in cui si manifesta la profondità della nostra ricerca di senso e di significato. L’interpretazione cristiana del soffrire e del morire trova la sua chiave di lettura nella speranza, che non è una semplice aspettativa di un futuro migliore, ma quella virtù teologale, più umile e nascosta, che sa essere anche combattiva e performativa nel presente, cioè capace di trasformare le relazioni e aprire una strada anche nell’abisso delle situazioni-limite».

La figura del palliativista è stata poi tratteggiata da Domenico Russo, medico responsabile dell’Hospice al San Marco di Latina, che ne ha messo in evidenza il peculiare punto di vista: «Per lavoro – ha detto Russo – il palliativista è sempre lì, dove la vita tramonta e il suo sguardo incontra ogni giorno quello di chi si prepara al distacco, ascolta le confidenze e le paure che nascono in questa situazione limite. E proprio lì è chiamato a prendere decisioni difficili. Il primo passo per instaurare una relazione è “esserci”, resistendo alla umanissima tentazione di voltarsi dall’altra parte. Solo all’interno di relazioni significative è possibile curare in modo efficace. Di più: solo a partire da relazioni significative è possibile una riflessione civile ed ecclesiale che non sia astratta e costretta ad arrossire e ad abbassare gli occhi di fronte alla sera della vita e alle immense problematiche che lì vengono suscitate».

L’appuntamento è stato patrocinato da Città di Ariccia, Palazzo Chigi, Ufficio diocesano per la Pastorale della Salute, Bcc Colli Albani e Fondazione Bcc Colli Albani.