A Roma, “La sfida di Giuditta”. Palazzo Barberini espone Caravaggio e Artemisia Gentileschi fra violenza e seduzione
da Tiziana Mercurio
Una Giuditta trionfante: eroica come Davide, seducente come Salomè. Il 26 novembre, per la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, a colei che liberò la città di Betulia dall’assedio assiro, tranciando la testa del generale inviato da Nabucodonosor, è dedicata la mostra “Caravaggio e Artemisia: la sfida di Giuditta. Violenza e seduzione nella pittura tra Cinquecento e Seicento”.
Le nuove sale al pian terreno di Palazzo Barberini accendono i riflettori sul tema biblico ritratto dal Merisi, a 70 anni dalla sua riscoperta e a 50 dall’acquisizione da parte dello Stato italiano (per soli 250 milioni delle vecchie lire).
Con la celeberrima tela, altre 30 di grandi maestri (dai Gentileschi a Valentin de Boulogne) che documentano la dirompente novità della pittura caravaggesca – una vera e propria rivoluzione – in quella a lui coeva e raccontano l’influenza che il suo lavoro ebbe sulle rappresentazioni contemporanee, senza dimenticarne i prodromi.
Fino al 27 marzo 2022, i capolavori, quasi tutti di grande formato e provenienti da musei nazionali e non, sono stati inseriti dalla curatrice, Maria Cristina Terzaghi, in un percorso espositivo di quattro sezioni.
Grazie ad alcuni prestiti davvero notevoli (che arricchiscono di altri spunti il discorso), l’esposizione si apre con una selezione di opere del ‘500 che mostrano le prime avvisaglie di una nuova rappresentazione del tema biblico, che non tralascia – anzi sottolinea – la drammaticità del momento. Nella seconda sala, poi, la nota tela di Caravaggio, ovvero un dramma teatrale con tanto di emblematico panneggio rosso, che esibisce un omicidio con testimone (la vecchia schiava Abra), e che, di fatto, costituisce un punto di rottura con la tradizione. Eseguita nel 1599 per il banchiere ligure Ottavio Costa, la “Giuditta e Oloferne” restò a Roma fino a metà ‘800. Per la gelosia del Costa non se ne hanno riproduzioni fedeli, ma ciò non impedì che, all’epoca, circolasse facendo proseliti e determinando un point break artistico da cui non si tornò più indietro. Infatti, quanti lo seguirono nella rappresentazione del Male (Oloferne) ucciso dal Bene (Giuditta, la Giustizia in cui si rincarnerà la Madonna che schiaccia il Serpente) non poterono più prescindere dal raccontare, reinterpretare e inscenare l’episodio biblico con quella veemenza. C’è violenza, c’è sangue, c’è il braccio teso nello strazio di Oloferne e c’è sensualità: in questa sezione delle Gallerie Nazionali, le opere si ispirano a Caravaggio anche nel formato orizzontale, con le figure di tre quarti al naturale. Eppure, bisognerà aspettare Artemisia Gentileschi per riuscire a rendere Giuditta una donna libera, possente e “femminista”. Lei, a cui è intitolata la terza sala, è la massima interprete del soggetto: lei che per davvero conobbe la sopraffazione di un uomo e che, probabilmente, avrebbe volentieri tagliato la testa del Tassi, sodale nella bottega del padre Orazio, che la violentò giovinetta.
Nell’ultima sezione, il confronto tra il tema di Giuditta e Oloferne e quello di Davide e Golia, accomunati dall’allegoria della virtù che trionfa sulla forza bruta. “Questa mostra – spiega la direttrice, Flaminia Gennari Santori – corrisponde alla mia visione di un museo che è un racconto in costante evoluzione, in continuo scambio fra collezioni e mostre temporanee, per offrire ai visitatori spunti sempre diversi”.
Info: www.barberinicorsini.org