Appello in rete per la globalizzazione ed il libero scambio

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Marco Marazzi - Alde Party
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Marco Marazzi – Alde Party

Marco Marazzi: nato 47 anni fa in provincia di Latina, ha studiato Scienze Politiche e Giurisprudenza a Roma, e ha preso mentre già lavorava un Master alla TUFTS University di Boston in Diritto Internazionale e Diplomazia.  Avvocato d’affari, vissuto per circa 18 anni in Oriente dove lavorava sempre come avvocato e dove ha anche ricoperto ruoli istituzionali in varie Camere di Commercio.  Da 4 anni a Milano per impegni professionali.  Iscritto all’ALDE Party, il partito dei liberali europei, di cui è coordinatore in Italia. Lo abbiamo interpellato sui temi del commercio estero, della globalizzazione, del mercato e dei trattati internazionali in tema di scambi. di Europa ed Italia, dopo il lancio di un appello, che lo vede tra i firmatari, contro il protezionismo, a favore della globalizzazione e del TTIP.

Come si definirebbe lei oggi nell’ambito dell’attuale quadro politico nazionale ed internazionale?

“Mi definirei un europeista per necessità. L’esperienza in Oriente e in America mi ha insegnato fin troppo bene che i singoli stati europei  hanno ormai perso rilevanza politica ed economica e quindi è necessario restare uniti  per riguadagnare una posizione se non di forza perlomeno di rilevanza nel mondo”.

Cosa significa oggi essere di cultura liberale?

“Il termine liberale purtroppo è inteso in modo diverso a seconda del paese e anche a seconda dell’interlocutore.  In Italia poi non ne parliamo.  Io sono per lo stato di diritto, il rispetto e l’ampliamento dei diritti civili e dei diritti umani, ma sono anche fortemente a favore del libero mercato con regole minime (e orientate soprattutto sulla finanza più che altre attività), e per uno Stato più leggero. Credo anche nell’importanza delle scelte che ogni persona adulta fa nella sua vita, di cui deve essere responsabile. E  sono un convinto federalista europeo. Questo è essere liberale? Bene, siamo d’accordo”.

Lei con altri Professori universitari, giornalisti, economisti e professionisti avete firmato e stilato un appello contro il “protezionismo straccione” ed a difesa della globalizzazione: ci può riassumere i contenuti, i perchè e gli obiettivi di questa iniziativa?

“In realtà la definizione “protezionismo straccione” è stata usata dal giornalista… ma è ovvio che i firmatari siano tutti nemici del protezionismo.  Il contenuto dell’appello è molto chiaro: la liberalizzazione degli scambi internazionali è stata un motore di crescita per i paesi sviluppati (anzi li ha portati ad essere tali, pensiamo al Regno Unito o all’Olanda) ed è il maggior motore di riduzione della povertà nel mondo. I dati sono chiari. Tornando all’Europa,  la stessa UE è nata inizialmente come un accordo teso a creare appunto un mercato unico,  ma il semplice mercato unico europeo (che peraltro deve essere ancora completato) non è sufficiente.  Bisogna continuare a commerciare con il resto del mondo, ad investire nel resto del mondo e quindi di conseguenza ad accogliere investimenti dal resto del mondo.  Da qualche anno però “liberalizzazione dei commerci” e quello che viene usato come suo sinonimo (anche se è una cosa parzialmente diversa) “globalizzazione” sono visti invece che come motore di crescita e di allargamento della “torta” come un gioco a somma zero: se un paese vince, l’altro perde.  Non è così, non è mai stato così.  Ed ecco il perché del nostro appello.  Chiudersi all’interno di un paese è suicida, pensare anche che solo il mercato unico europeo possa essere sufficiente è miope; bisogna invece proseguire nell’opera di completamento del sistema di commercio ed investimenti internazionale,  con i dovuti contrappesi, certo, ma con la barra della nave sempre dritta.   Detto questo, io preferirei che l’apertura avvenisse attraverso la piattaforma multilaterale offerta dall’ Organizzazione Mondiale del Commercio, ma i negoziati sono bloccati da anni ormai e la nuova “via” scelta da molti è quella di accordi bilaterali”.

Lei si è dichiarato apertamente a favore della sottoscrizione degli accordi tra USA ed Europa sul TTIP ED IN GENERALE SUGLI ACCORDI BILATERALI DI LIBERO SCAMBIO: ci può descrivere le motivazioni di questa sua posizione?

“Il TTIP è un trattato complesso e ambizioso, che ha una valenza sia economica che politica.   L’America è ancora un partner importante sia per i nostri commerci che per gli investimenti; negli ultimi anni, la politica estera americana si è orientata fortemente verso l’Asia, dove gli USA hanno concluso l’accordo speculare al TTIP, la Transpacific Partnership (TPP).  Forse questa è l’ultima occasione per l’Europa per rinsaldare e confermare il vincolo transatlantico.  Ci sono certo dei punti controversi, perché è un trattato cosiddetto di “nuova generazione”, che va oltre l’abbattimento dei dazi e si concentra invece sulla regolamentazione dei prodotti e dei servizi, ma è indubbio che la convergenza regolamentare avvantaggerà le aziende esportatrici da entrambi i lati.   Infine, ripeto, c’è l’aspetto geopolitico che non va sottovalutato”.

Potrebbe riassumere in breve quali sarebbero stati i contenuti del trattato di libero commercio transatlantico qualora fosse entrato in vigore?

“Anzitutto, il trattato è ancora oggetto di negoziazione, ci sono varie proposte sul tavolo da parte UE e controproposte americane. I negoziati sono andati a rilento soprattutto l’ultimo anno per motivi essenzialmente politici e non per la presenza di ostacoli insormontabili. Ove concluso secondo le intenzioni, il trattato si concentrerebbe su tre aspetti principali:  (a) riduzione dei dazi (sono già abbastanza bassi ma esistono eccezioni) (b) armonizzazione regolamentare, ovvero la condivisione di procedure e standard comuni per l’omologazione di prodotti e la fornitura di servizi (c) accesso al mercato reciproco, soprattutto quello degli appalti pubblici.  Nel rispetto comunque della potestà dei contraenti di regolamentare nell’interesse generale”.

Il trattato transatlantico sul commercio ha destato forti opposizioni in Italia e non solo: la critica più comune è quella che la sua entrata in vigore penalizzerebbe le imprese italiane ed europee, a tutto vantaggio delle multinazionali d’oltre oceano. Come risponde a questa accusa?

“Sono stato molto sorpreso da questa attenzione spasmodica posta dai media e da alcune organizzazioni e associazioni sul TTIP.  La UE ha concluso un trattato simile con il Canada (CETA), sta negoziando accordi con la Cina, con l’India, con il Mercosur, eppure tutti guardano solo al TTIP. Viene da chiedersi se a volte non ci sia un velo di antiamericanismo dietro questa attenzione…  Detto ciò, è vero che le multinazionali (proprio perché sono presenti in vari paesi) beneficiano della liberalizzazione dei commerci, ma non è detto che le piccole e medie imprese non ne abbiano beneficiato e possano beneficiarne. Prendiamo una impresa esportatrice che fattura 10 milioni di EURO e che deve oggi produrre prodotti con due standard diversi: uno per il mercato UE uno per gli USA.  Può trattarsi a volte di costi importanti per una piccola azienda. Se USA ed UE dovessero mettersi d’accordo sull’accettazione reciproca degli standard per quel prodotto o su uno standard comune, quei costi verrebbero abbattuti.  Se poi, come è possibile questo standard diventasse automaticamente quello di riferimento anche per gli altri paesi, ciò faciliterebbe anche l’export verso quei paesi oltre che gli USA.  Le critiche maggiori finora si sono concentrate su due aspetti: quello della risoluzione delle controversie (dove condivido la posizione UE mentre non concordo con quella americana), e l’agroalimentare dove esistono delle questioni importanti da risolvere, ma che però rappresenta una quota minore dell’interscambio tra USA e UE.  Con un’attenta negoziazione, e soprattutto con un’ Europa unita dietro i negoziatori,  a mio avviso si può arrivare ad un trattato equilibrato.  E in ogni caso, la versione finale dovrebbe essere ratificata dal Parlamento Europeo e addirittura da quelli nazionali dei Paesi UE”.

Secondo lei in che modo trattati come questo potrebbero aiutare la crescita economica di sistemi come quello italiano basati su una rete di piccole e medie imprese e non su grandi multinazionali?

“Ho già risposto sopra, le PMI che esportano verso gli USA potrebbero avere una riduzione dei costi di produzione.  Le medie imprese che riescono a partecipare a gare d’appalto anche in USA avrebbero accesso al mercato più agevole”.

L’Europa non sembra in grado di trovare una strategia economica comune per uscire dalla crisi e tornare a ritmi di crescita sufficenti: quale la ricetta che secondo lei potrebbe invertire la tendenza?

“Mamma mia, è una domanda complessa.  Brevemente, io sono convinto che il completamento del mercato unico e gli investimenti infrastrutturali necessari anche a collegare meglio gli europei possano essere un motore di crescita non indifferente.  A ciò si deve accompagnare un alleggerimento normativo e regolamentare che pesa sulle aziende e che è un problema in quasi tutta la UE.   Il carico fiscale che pesa sulle aziende e gli individui in molti paesi UE però si potrà abbattere  a mio avviso solo se alcune funzioni che adesso sono moltiplicate per 28 (o 27 dopo che il Regno Unito uscirà, perché è ancora dentro non dimentichiamolo) verranno accorpate.  Penso ai costi della difesa, della politica estera per esempio, alla gestione dei confini.   Difficile incidere significativamente su altre spese per ridurre il carico fiscale: gli europei sono troppo abituati al welfare perché si possa pensare di farlo venire meno all’improvviso”.

Il Governo Renzi con atti come la riforma del lavoro sta lavorando nella giusta direzione verso l’uscita dalla crisi?

“Il governo Renzi ha fatto cose utili come il Jobs Act e cose magari meno utili (gli 80 euro per esempio), ma sono convinto che il primo ministro sia affiancato da due persone, Padoan e Calenda, che sanno quello che fanno. E’ anche vero però che ci sono variabili dovute alla congiuntura internazionale che né Renzi né  un suo successore riuscirebbero a controllare in pieno, e quando valutiamo l’operato di un governo nazionale oggi dovremmo tenere conto anche di questi limiti”.

Le riforme istituzionali che tra poco andremmo a sancire o respingere con un referendum potrebbero incidere positivamente se approvate sulla nostra economia?

“E’ una questione che non ho studiato: mi sono sempre interessato alla politica europea e  a come migliorare e rendere più funzionali le istituzioni europee, che per me sono il futuro,  quelle nazionali – mi permetta – saranno presto il passato.  Detto questo, se le riforme istituzionali serviranno per esempio a chiarire meglio le competenze dello Stato e quelle delle regioni, vedo effetti positivi anche per l’economia”.