Basket, torna l’inviato speciale Luca Andreassi al seguito della Virtus Roma

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andreassiecalvani
Luca Andreassi e Marco Calvani
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Luca Andreassi e Marco Calvani

SPORT – Diciannove partite vinte consecutive in casa per Cantù prima della sconfitta di martedì sera con la Virtus Roma. Ultima sconfitta nei play off dello scorso anno in gara 6. Proprio contro la Virtus Roma. Potrei iniziare così il mio commento alla prima partita dei play off della Virtus Roma che segna il mio ritorno sulle pagine di Meta Magazine. Non mi piace, però. Troppo freddo e distaccato. Proviamo con un incipit più tecnico. Una partita vinta dalla squadra che ha sbagliato di meno. Una brutta partita, condizionata dagli errori di una Cantù inguardabile al tiro e da una Virtus incredibilmente (per questa stagione) concentrata per tutti e quaranta i minuti. Con Bobby Jones (l’aria dei play off lo cambia, ormai lo sappiamo) e Kanacevic in grande spolvero, con un Baron che ha messo dei tiri impossibili, con un Hosley che in mezzo a tanti errori ha fatto delle cose da NBA (se solo avesse la testa, questo oggi starebbe dall’altra parte dell’oceano a giocarsi l’anello NBA). Non mi piace neanche questo di inizio. Troppo tecnico. Forse ci sono. Buttiamola sui ricordi e sugli spettri del tifoso. Ogni volta che vedo un Jenkins mi si materializza nella testa quella maledetta gara cinque di semifinale che la Virtus perse contro la Fortitudo Bologna anche perché Jenkins (il nostro Jenkins), “Orazio” Jenkins, venne messo fuori uso da un blocco irregolare ai limiti della condanna penale di quell’”energumeno” di Skelin e giocò con una spalla lussata gli ultimi cinque minuti. Avrebbe vinto lo scudetto la Virtus quell’anno. E, quindi, quando il vostro cronista ieri vedeva un altro Jenkins (stavolta con la canotta di Cantù) imperversare nella difesa di Roma si trovava di fronte ai suoi peggiori incubi. A tre secondi dalla fine, però, quella palla persa in maniera piuttosto ingenua proprio da Jenkins che consegnava la vittoria ai romani squarciava il velo di paura un po’ come l’alba cancella i mostri nei sogni dei bambini. Assolutamente no. Non va bene neanche questa. Sembra una parodia, molto mal riuscita, delle fiabe di paura di Camilleri. Non mi piace. Non riesco ad iniziare questo articolo come vorrei. Ma penso di aver capito perché. Ho bisogno di fare un outing emozionale. Devo essere sincero con i lettori. Per chi vi scrive, è stata una stagione difficile quella che si è appena conclusa. La prima dopo oltre un ventennio senza l’abbonamento in tasca. Sono rimasto orfano (o vedovo, scelga lui) del coach Marco Calvani, inspiegabilmente non confermato dopo la splendida stagione dello scorso anno che ci portò alla finale scudetto persa contro Siena (i fatti in realtà stanno dimostrando che lo scudetto Siena se lo era “comprato” e, quindi, di fatto, la Virtus Roma è campione d’Italia in carica). La squadra poi non ha aiutato a creare alcun feeling con i tifosi. Eravamo abituati a vedere gente che poi avrebbe calcato i parquet NBA sbucciarsi gomiti e ginocchia per recuperare palloni impossibili a prescindere dal risultato. Ci siamo trovati partite spesso giocate con sufficienza, un improvviso distacco emotivo, la mancanza di quel legame tra squadra e città che dopo tanti anni Marco Calvani era riuscito a ricostruire. Per questo nell’urlo solitario davanti alla televisione a quella palla persa di Jenkins mi sono sentito un tifoso abusivo. Non occasionale come il general manager di Roma (a cui auguro ogni fortuna ma il più lontano possibile da Roma) definì i tifosi che lo scorso anno avrebbero gradito poter assistere alle semifinali e finali in un palazzetto più capiente del PalaTiziano. Ma un tifoso abusivo. Quasi non potessi fino in fondo godermi la vittoria. Quasi che quella squadra non fosse mia. La realtà è che l’amore per la maglia lo puoi sopire, nascondere ma poi riesce e si impossessa di te. E non ti importa che il canestro lo faccia Dino Radja o Bodiroga, Michael Cooper o Fulvio Polesello, Cessel o Tonolli, Marko Tusek o Larry Wright, Jimmy Baron o Enrico Gilardi, Quinton Hosley o Datome (scusa Gigi per l’accoppiamento). L’importante è che la palla gonfi la retina. Ecco, ora sto meglio. Mi sono liberato di un peso. Ho rimesso la Virtus al centro del Palazzo dello sport della mia vita di tifoso. Ed allora. Roma batte Cantù e cambia l’inerzia della serie. Giovedì si replica a Cantù. Stessa concentrazione, stesso spirito di squadra, stessa attenzione in difesa, magari qualche sciocchezza in meno nei tentativi di anticipo e in attacco. Ma si può fare. Certo che si può fare. Da parte mia vi prometto una maggiore lucidità nel commento ed un’ analisi tecnicamente più valida. Ma oggi dovevo far chiarezza coi miei sentimenti (ben inteso, ritengo che Marco Calvani debba tornare al più presto sulla panchina della Virtus, sin dalla prossima stagione ma, come mi ha detto qualche mio amico tifoso, nel frattempo si tifa per la maglia). Daje Virtus. Si può fare.