Charlie Hebdo, Fabiola e Mery, pensieri fuor di retorica

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Vignetta - Charlie Hebdo
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Vignetta – Charlie Hebdo

Lontano dai commenti a caldo, dalle emozioni e dalla retorica, abbiamo voluto raccontare un frammento dell’attentato di Parigi ai danni dei colleghi di Charlie Hebdo tramite il pensiero di due giovani studentesse di scuola superiore: Fabiola Del Re e Mery Cassoni, le quali, a modo loro e fuor di conformismo ci parlano di una visione fuori dal politically correct e dalle mode dell’attuale sistema virale di comunicazione. Omaggiare la libertà di stampa può essere anche, come in questo caso, raccontare opinioni apparentemente scomode ma assolutamente pertinenti e sintomatiche di pensieri ben presenti in moltissime persone, specialmente tra i giovani, che spesso non sono rappresentate sui media ufficiali.

JE NE SUIS PAS CHARLIE

Il 7 gennaio 2015 ha avuto luogo a Parigi contro la sede del giornale Charlie Hebdo un attentato in cui sono morte dodici persone e ne sono rimaste ferite undici.

Benché l’attentato sia condannabile e ingiustificabile, però, non posso unirmi alle tante persone che gridano “Je suis Charlie”.

Perché Charlie Hebdo non è stato del tutto innocente. Non è stata una vittima casuale.

Il giornale, infatti, è famoso per la sua satira spinta. Satira che a volte oltrepassa i confini del genere stesso. Satira che spesso e volentieri OFFENDE più che prende in giro.

I musulmani che hanno attaccato sono stati, quindi, in qualche modo, provocati.

Non per questo, però, possono essere scusati.

Il loro gesto va punito e disprezzato.

Solo che, nonostante la mia rabbia per l’attentato, il mio disgusto per un’azione così ignobile, non posso dichiarare “Je suis Charlie”.

Fabiola Del Re

NON SERVE SCRIVERE JE SUIS CHARLIE

Non serve scrivere “Je suis Charlie” per ricordarsi di qualcuno che non c’è più. Quelle che sono state uccise sono GRANDI PERSONE che hanno combattuto per ciò in cui credono e meritano più di una semplice scritta su un social network. Semplicemente, non pare un gesto di solidarietà nei confronti delle famiglie di quelle povere persone. Scrivendo su facebook, non tornano indietro e di sicuro queste “guerre”, anche nel resto del mondo, non cessano. Non stiamo parlando di una notizia come: “mi è morto il pesce rosso”, stiamo parlando di PERSONE che meritano tanto rispetto, non traducibile con una frase simbolica scritta su un social. Fare di questo una moda non è assolutamente sinonimo di rispetto. Ognuno ha la piena libertà di condividerlo o meno, ma si può essere meglio vicini alle famiglie, con il pensiero, senzaoffendere nessuno, non con un social network.

Mery Cassoni