Cresce tra bambini e adolescenti in Italia il fenomeno degli Hikikomori

Ne parla la Dott.ssa Adelia Lucattini, Psichiatra e Psicoanalista

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Da tempo, si parla anche in Italia del fenomeno degli Hikikomori, termine giapponese che indica quelle persone – soprattutto giovanissimi – che decidono di isolarsi completamente, stando chiusi in casa e chiudere ogni contatto con il mondo esterno e la realtà. Quali sono le cause di questo fenomeno? A suo avviso,  rappresenta una vera malattia sociale?

Hikikomori è una parola giapponese che significa “stare in disparte” e si riferisce a bambini e adolescenti che si ritirano progressivamente dalla vita sociale e restano rinchiusi nella propria casa o nella propria stanza per lunghi periodi, mesi o anni. Il fenomeno non è nuovo ma ha preso delle proporzioni preoccupanti dopo la pandemia, inoltre in precedenza non si Era mai riscontrato tra i bambini. Ormai sappiamo che le cause sono molteplici, vanno da una fobia sociale, agorafobia e antropofobia, fino a disturbi gravi quali depressione maggiore,  disturbi bipolari e schizofrenia.

la situazione in Italia è piuttosto seria, perché già nel 2007 erano stati segnalati tra i 30 e i 50.000 casi: A marzo 2023, secondo  uno studio dell’ Iss, l’isolamento sociale riguarda l’1,8% degli studenti delle medie e l’1,6% di quelli delle superiori, in numeri assoluti 44.000 adolescenti sono rimasti chiusi in casa almeno una volta per sei mesi e si stima che altri 67.000 siano fortemente a rischio.

Dott.sa Lucattini il mondo della psicoanalisi da tempo sta mettendo in allerta sul pericolo Hikikomori che incombe su bambini e adolescenti che trascorrono sempre più tempo chiusi in casa per settimane davanti a pc e smartphone, presi da social e videogiochi. Quali sono le principali cause?

“Se ci riferiamo agli Hikikomori, lo stare sugli smartphone sul web o collegati al pc è una conseguenza dei loro disturbi e fa pendant col ritiro, non ne è la causa. Questi giovani si isolano a causa di una sofferenza psicologica, tanto da non avere rapporti neppure con i propri familiari. La loro stanza è il loro mondo, lo spazio fisico in cui vivono e da cui non escono. Al tempo stesso, però, poiché sono nativi digitali, Z-Gen, hanno l’abitudine, il bisogno profondo, di rimanere in contatto con il resto del mondo, nel modo che più gli si confà: attraverso gli strumenti elettronici e il web. Paradossalmente sono iperconnessi, chattano tutto il giorno e si cimentano in competizioni online ogni tipo. Hanno una pseudo-socialità  ma non hanno contatti fisici con nessuno. A livello relazionale vivono una condizione emotivamente molto regredita, narcisistica, primitiva”.

È vero che un uso incontrollato della tecnologia porta alle stesse conseguenze di chi ha dipendenze dalle droghe, in quanto sono coinvolte le stesse aree cerebrali e gli stessi neurotrasmettitori?

“La dipendenza da strumenti tecnologici ha un’origine squisitamente psicologica e i primi studi sono già degli anni ‘90. E un disordine impulsivo-compulsivo che riguarda il pc, di smartphone, le consolle,  sia in modalità online che offline. Come tutte le dipendenze sono caratterizzate da un adattamento, ovvero c’è bisogno di aumentare le ore passate su Internet o sui dispositivi elettronici per avere lo stesso effetto, così come, in chi ne fa uso, il bisogno di aumentare le dosi delle droghe; provocano astinenza per cui quando i ragazzi non usano Internet hanno crisi di angoscia acuta anche con disturbi fisici; infine hanno il craving, l’irresistibile desiderio di usare il web. Nonostante, l’origine della dipendenza sia psicologica, sappiamo che la mente agisce non solo il corpo, ma anche a livello metabolico per cui si può avere anche un coinvolgimento delle aree cerebrale e la produzione di neurotrasmettitori come in altre dipendenze patologiche. È però riduttivo pensare che la dipendenza sia solo su un piano organico, poiché il consumo e mentale, la dipendenza è fortemente e chiaramente psicologica. Sono i processi psichici e la mente che agisce sul corpo e lo trasformano”.

Nell’ultimo periodo, si parla di Hikikomori anche per i bambini più piccoli. Possiamo dire che la pandemia è stata la causa principale, visto che ha esposto maggiormente i più piccoli alla tecnologia?

“Le cause del fenomeno “Hikikomori” nei bambini sono ben più complesse, che la sovraesposizione alla tecnologia durante il lockdown e le restrizioni pandemiche. Molti bambini sono stati terrorizzati dal poter perdere i propri genitori, i nonni o dal pensiero di morire loro stessi. Sono le angosce di separazione di perdita che portano i bambini a rimanere attaccati al proprio guscio naturale costituito dalla casa. D’altro canto, poiché sono nativi digitali vivono gli smartphone come un prolungamento naturale, ma virtuale della loro vita affettiva e sociale. Gli strumenti elettronici permettono loro di restare costantemente in contatto con i loro genitori e con i nonni, ma anche di restare in contatto con i loro amici. Molti studi dimostrano che non ci sono solo effetti negativi da questa connessione sociale dei bambini e quando diventa l’unica, quando non possono farne a meno, se iniziano a non dormire e a non mangiare, se si terrorizzano se ne separano o li spengono. Solo in questi casi, bisogna allarmarsi. È scontato che i bambini non debbono avere assolutamente accesso a Internet e ai contenuti online che non sono adatti alla loro età e che possono essere molto dannosi per il loro sviluppo psicologico ed emotivo. Inoltre, è evidente che devono starci pochissimo tempo, 15-30 minuti al giorno perché altrimenti non sviluppano la capacità di utilizzare bene tutte le dita della mano a cui è legato lo sviluppo di alcune funzioni della mente e aree del cervello”.

Quando è necessario un intervento di  psicoanalisi per aiutare i ragazzi e i bambini a superare questa condizione psicologica?

“L’intervento deve essere sempre tempestivo e precoce, al suo primo manifestarsi. Per i piccoli e giovani hikikomori non dopo due settimane che sono chiusi nella loro stanza è necessario intervenire e chiedere una consulenza. Per le dipendenze da strumenti elettronici e da web, quando compaiono sintomi come insonnia, somatizzazioni, calo del rendimento scolastico, rifiuto di interrompere le attività online, riduzione importante dei rapporti sociali con i coetanei e con i familiari. Un segno molto chiaro è quando hanno delle crisi psicofisiche di agitazione pianto o anche aggressività, nel momento in cui viene loro tolto lo strumento elettronico o se viene spento. Talvolta, gli stessi ragazzi, ma anche i genitori se ne accorgono se si rompe lo smartphone, questo evento rimediabile può scatenare delle crisi ansiose e d’angoscia anche gravi”.

Infine, che consiglio possiamo dare ai genitori che ci leggono? Come possono riconoscere i primi sintomi dal comportamento dei ragazzi?

  • Sapere che i figli adolescenti stanno nella loro stanza abitualmente, perché anche attraverso la scoperta della loro privacy, si rendono psicologicamente autonomi e si formano la loro identità. Se però si rifiutano di uscire, non partecipano alla vita familiare, hanno reazioni molto forti quando si entra per sistemare la loro stanza, sono segnali di allarme da non trascurare;

 

– Parlare con i figli sempre e senza scoraggiarsi, il dialogo aiuta a capire come si sentono, come stanno.

– Prestare attenzione ai loro cambiamenti di umore, cercare di capire se sono depressi o agitati e perché non parlano. Accertarsi se hanno idee stravaganti o di persecuzione;

 

  • Dare un tempo preciso nell’uso degli smartphone e degli strumenti elettronici usati per puro svago: nei bambini 15-30 minuti al giorno, nei preadolescenti (10-12 anni) fino a un’ora, dopo i 13 anni (adolescenti) non più di due ore, mai più di tre ore al giorno;

 

-Se i figli mostrano agorafobia, fobia sociale o dei contatti umani, chiedere immediatamente una consulenza psicoanalitica per affrontare il disturbo al suo primo manifestarsi e alla sua radice. Questo aiuta i figli ad essere più sereni e avere una vita in linea con la loro età;

 

-Sapere che l’Hikikomori è una sindrome sempre più frequente e che non va assolutamente trascurata, poiché non guarisce da sola ma con il tempo peggiora;

 

-Se i figli non vogliono parlare con uno psicoanalista, allora i genitori devono andare da soli in modo da che capire insieme all’analista come aiutare i loro figli e stare meglio loro stessi”.