Stiamo assistendo ad un dibattito pubblico su clima e ambiente dal tasso di strumentalizzazione e ideologismo talmente alti da correre il rischio di derubricarlo a questione di fazioni e propaganda politica, cosa che non è.
Da quelli che vorrebbero introdurre il reato penale di negazionismo climatico, per cui pure la nonna che gli scappasse di dire Che “non ci sono più le mezze stagioni”, rischierebbe la galera, alle giovin donzelle dalla lacrima facile a favor di telecamera che denunciano una fantomatica ansia da clima, è tutto un coro che, con fare accusatorio, dice all’italiano medio: ricordati che devi morire, e sarà pure colpa tua.
Nulla di nuovo, corsi e ricorsi storici che riecheggiano i puntuali ammonimenti di coloro che avevano fissato per l’anno mille la fine del mondo. I fatti si sono incaricati di smentirli, ma pare non se ne siano molto accorti.
Un terrorismo morale che risponde, più o meno in buona fede, agli interessi di alcuni centri di potere economico ben lontani dalla penisola, che intendono orientare gli usi ed i consumi delle persone, in nome dei propri guadagni, che nulla hanno a che vedere con la tutela ambientale.
Se a costoro, manovratori e manovrati, interessasse davvero la salubrità del pianeta, entrerebbero nel merito dei problemi concreti, partendo da quelli più semplici e vicini alla vita quotidiana, invece che arrampicarsi sulla pianta della visibilità mediatica priva di contenuti.
Stare nel merito significa ad esempio studiare come l’uomo si possa adattare ai mutamenti climatici, da sempre in evoluzione, come la sua presenza si possa e debba armonizzare con l’equilibrio naturale delle cose e degli altri esseri viventi.
Significa curare il proprio habitat naturale, poco importa se si tratti di una foresta o di una città. La cura ed il decoro urbano ad esempio, non sono particolarmente amati come tema dagli epigoni del catastrofismo globale, ma sono la questione più semplice e più prossima alle persone che va affrontata.
Certo è difficile piangere davanti ad un Ministro o ad un Sindaco per la buca davanti casa, o per i cespugli che proliferano sui marciapiedi, o meglio, è difficile ottenere tanta visibilità, ma se ci sta davvero a cuore la sorte del pianeta è da questo che bisognerebbe partire. Agire localmente e pensare globalmente dicevano gli ambientalisti seri di una volta, ma facevano politica, non ambivano ad arricchirsi diventando influencer.
Noi che non influenziamo nessuno invece, ci sforziamo di essere meno fighetti ma leggermente più concreti, affrontando un tema, quello del decoro urbano, partendo dalle buche stradali e dalla nostra città.
Albano Laziale da 15 anni è amministrata da una maggioranza di centrosinistra, che ha espresso due sindaci. Il problema dello stato delle strade comunali, degli asfalti e più in generale della cura del territorio, è sempre stato presente e mai realmente affrontato con soluzioni strutturali.
Nei primi anni, in corrispondenza della grave crisi economica nazionale, dei vincoli del patto di stabilità interno, dei tagli draconiani imposti agli enti locali dal governo nazionale, a chi poneva con forza il tema delle pubbliche manutenzioni, gli amministratori argomentavano dicendo che, dovendo scegliere tra le persone e le cose, si preferiva concentrare le risorse sui servizi sociali piuttosto che sulle manutenzioni.
Si poteva non concordare, ma l’argomentazione aveva un senso: si mostrava consapevole del problema e si assumeva la responsabilità di una scelta politica.
Dopo 15 anni però, anche l’argomentare più sennato richiede un aggiornamento, e ciò che si poteva capire tempo fa, oggi risulta un alibi rispetto all’incapacità di farsi carico seriamente di un problema.
Durante la discussione nel Consiglio Comunale in cui si è votato il Documento Unico di Programmazione, per motivare il voto contrario ad un emendamento presentato dal gruppo di Fratelli d’Italia che chiedeva l’inserimento di una pianificazione programmata degli interventi di manutenzione sulla viabilità, la giunta ha giustificato il diniego con l’impossibilità di programmare su questo tema specifico. Praticamente una resa allo status quo.
Ci siamo chiesti allora se fosse davvero inevitabile tutto ciò. Se lo stato indecoroso e pericoloso, per le cose e le persone, in cui versano le strade di Albano, sia realmente ineluttabile, la cui risoluzione si debba affidare al vecchio metodo del clientelismo, secondo il quale per riparare il tratto di strada davanti casa basta telefonare ad un consigliere amico che, gentilmente provvederà, ricordandoti dei suoi sforzi al momento di chiedere la preferenza.
Il vecchio caro metodo a cui per decenni l’Italia si è piegata, che scambia i diritti con i favori.
Ma esiste una via concreta per soppiantarlo con qualcosa di più moderno e soprattutto di più sano per la democrazia? Si, esiste. Richiede una dose di coraggio da parte delle classi dirigenti, unitamente ad un tasso di personalità, autonomia ed autorevolezza, che dovrebbe essere proprio di sindaci e amministratori, legittimati da una investitura popolare, propria di un sistema sostanzialmente presidenzialista come quello dei comuni.
Consapevoli della persistente scarsità di risorse economiche, della pianta organica del personale addetto ridotta all’osso se non proprio inesistente, occorre avere ben chiaro il quadro. Esistono due aspetti della questione: uno dovuto al naturale deterioramento, un altro, assai più diffuso, causato dall’insistere continuo e non coordinato, di molteplici attori che sulle nostre strade applicano lavori che prevedono scavi.
Nel primo caso il Comune non ha alternativa rispetto all’uso di risorse proprie, nel secondo invece, è necessario, non solo programmare e coordinare tempi e modi con cui pianificare gli interventi, ma soprattutto agire in modo chiaro e trasparente rispetto ai contratti con le diverse aziende ed i diversi enti, pubblici o privati, che quei lavori di scavo praticano.
Il principio di chi rompe paga è applicabile al punto, in quanto la legge prevede che siano le aziende ad avere il compito di riconsegnare una strada perfettamente tenuta, dopo avere svolto i lavori autorizzati. Peccato che questo principio, sancito anche nelle norme di legge, non sembra essere applicato e rispettato con il necessario rigore, lasciando un margine di discrezionalità e lassismo che consegna ai cittadini un panorama lunare ogni volta che percorrono, a piedi o su un mezzo, le strade.
Questo tema è paradigmatico su come la politica pare avere rinunciato al suo ruolo di direzione rispetto alla burocrazia pubblica. Perché se è il dirigente ad avere il compito di curare gli aspetti che regolano certi rapporti, sta alla politica dare l’indirizzo e guidare l’azione della macchina amministrativa.
Se la politica rinuncia al suo ruolo, come da anni, non solo ad Albano ma a livello nazionale, ha fatto, anche governare le cose più banali, come sono le buche, diventa quasi impossibile.
Spesso ce ne dimentichiamo, oppressi da dibattiti utopistici, ma le più grandi rivoluzioni, partono dalle più piccole cose, quelle più tangibili da tutti.