Di Bruno Astorre ricorderemo il suo fischiettare alla vita

Di Bruno Astorre si è perso il politico, non la persona. Il ricordo del Direttore Andrea Titti

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“Scrivi sempre cose interessanti”. Così Bruno Astorre una sera mi scrisse un messaggio, dopo aver letto un mio editoriale. Ovviamente questa frase giunse al termine di uno scambio in cui  mi contestava alcune prese di posizione, ma il fatto che la personalità politica più influente della Provincia di Roma, al termine di una giornata immagino piena di impegni, si potesse interessare di un mio articolo di scenario, sulle sorti del Pd alle prese con l’ennesimo congresso, ritenendolo degno di discussione, mi fece riflettere su quanta passione per la politica avesse.

Lo cito perché la narrazione che ha accompagnato Bruno, così come tutti gli uomini e le donne che assurgono a determinati ruoli, si è sempre concentrata sull’uomo di potere più che sulla persona.

Astorre ha gestito il potere, ha costruito potere, innegabilmente, perché chiunque fa politica con il potere deve confrontarsi, il potere deve conquistare, ma oggi che quel potere è svanito, a tutti rimane la persona.

C’è spazio per la persona in una società in cui l’invettiva, lo scontro, la mostrificazione, la delegittimazione, sembrano essere l’unica cifra del dibattito e del confronto?

C’è spazio per la persona in un contesto in cui la politica ed i politici, le istituzioni e lo stesso potere, sono narrati come luoghi del malaffare, dell’opacità, del disinteresse verso la collettività?

E’ come se il gesto di Bruno Astorre ci interrogasse su questo, su come spesso la semplificazione separi il politico dalla persona, tendendo a disumanizzarne la figura, perché quando l’altro ci appare disumano, ci si sente autorizzati a colpirlo, facendone un alibi su cui scaricare: ambizioni mancate, delusioni ed inadeguatezze.

Purtroppo per Bruno non c’è stato abbastanza spazio per la sua persona in questo mondo. Per le sue ansie, per qualcosa che voleva esprimere di se, che non è riuscito, troppo imprigionato dal ruolo, dall’immagine che gli si era appiccicata addosso.

Qualcosa che riusciva ad esprimere nei piccoli gesti di attenzione verso le storie ed i vissuti degli altri, come se attraverso essi intendesse mostrare una parte di se. Quella più fragile e sensibile che non sempre è concesso avere agli “uomini di potere”.

Fischiettava alla vita Bruno Astorre, quando riceveva la gente al bar di Frascati e gli spiegava la politica, anche se questi di politica ci capivano poco, così come quando impostava strategie impossibili, che lo avrebbero portato a vincere, anche quando perdeva, semplicemente perché per lui il dialogo era una

cultura e non una opportunità.

Ci sono stato anche io tra loro in quel bar di Frascati, più di una volta. In una ocasione mi raccontò della sua esperienza da Consigliere Provinciale e dei suoi primi passi da militante politico, quando nel ’94 la DC fu chiamata a scegliere tra il centrodestra e il centrosinistra, e lui scelse quest’ultimo. La discussione fu interrotta perché incombevano altri commensali con cui doveva decidere chi candidare a sindaco di un paesino, ma intuii che gli avesse fatto piacere chiacchierare, lontano dalle incombenze del quotidiano, per questo mi ripromisi di tornare a stimolarlo su questi temi, perché, come mi disse: “lo dico a te che sei un cultore di queste cose”.

Purtroppo quell’intervista non la potrò mai fare, e me ne dispiace moltissimo, perché, forse, io come tutti coloro che lo hanno conosciuto, avevamo capito quanto per lui fosse più importante la persona rispetto al politico, ma non abbiamo fatto abbastanza per farla esprimere così come lui avrebbe voluto.

A coloro che gli hanno voluto un bene sincero, a sua moglie Francesca, ad i suoi cari, resterà per sempre il ricordo, ed a tutti noi, il suo fischiettare alla vita.