Editoria, ‘La criminalità organizzata israeliana’. La firma è di Luca Francesco Laviola, storico giornalista dell’Ansa

160 pagine dense, complesse, contraddittorie. Raccontate in modo magistralmente semplice

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160 pagine che si leggono in un soffio nonostante l’argomento sia pesante come un macigno. È ‘La criminalità organizzata israeliana’, in uscita nelle edicole il 12 aprile per la collana ‘Mafie’ di Rcs-Gazzetta dello Sport, saggio di Luca Francesco Laviola ex giornalista dell’Ansa, che oggi si dedica alla politica estera con una chiarezza disarmante. Il terrorismo e la resistenza palestinesi, la minaccia di Hezbollah dal Libano, le trame di Iran e Siria che hanno indirettamente favorito la crescita esponenziale della criminalità organizzata in Israele. Che viene da domandarsi: “Come mai non ce ne siamo accorti prima?”.

Lo abbiamo chiesto all’autore.

Mafia e Israele, quasi un ossimoro per lo stato più democratico del Medio Oriente. E, invece, la criminalità organizzata cresce, all’ombra della guerra. Perché ci era sfuggito?

Tutti gli Stati democratici o quasi hanno mafie di una certa importanza; del resto l democrazia porta in genere più sviluppo e quindi soldi in circolo, che è il primo obiettivo delle mafie. Non ce ne siamo accorti per quanto riguarda Israele, almeno dall’Italia, proprio perché i clan sono cresciuti all’ombra della guerra, come dici tu: polizia e forze di sicurezza sono state per decenni talmente impegnate contro la resistenza e il terrorismo palestinesi che non hanno voluto o potuto destinare sufficienti energie e mezzi alla criminalità organizzata. Fino ai primi anni Duemila mancavano anche una legislazione adeguata e strumenti repressivi specializzati, come quelli di cui l’Italia si è dotata contro le mafie a partire almeno dagli anni ’80.

Saviano nel 2009 ha detto: “Stiamo sottovalutando la cosa”. Perché non lo abbiamo preso sul serio?

Lo disse in Israele nel corso di un incontro pubblico e la cosa ebbe un qualche rilievo lì, ma non da noi. C’è anche il fatto che le gang israeliane (e arabo-israeliane, cioè di cittadini dello Stato ebraico di origine araba, quasi tutti palestinesi, gang che si sono imposte negli ultimi anni dopo la debacle giudiziaria di quelle ebraiche) non sembrano avere grandi legami con i clan italiani, anche se la loro struttura ricorda in qualche modo quella della ‘Ndrangheta, con una notevole importanza dei legami familiari anche nella trasmissione del potere.

Gangster ebrei, ma anche russi e, prima ancora, americani. Perché la mafia israeliana è un crogiolo di esperienze così diverse?

La mafia ebraica ha una lunga tradizione negli Usa, almeno dall’inizio del secolo scorso, sempre dovuta a immigrazione da Paesi europei a seguito di pogrom, persecuzioni. ghettizzazione e povertà. Basti pensare ai protagonisti di ‘C’era una volta in America’, il film di Sergio Leone, e di Noodles-Robert De Niro in primis, il protagonista. Negli anni ’20 e ’30 i clan ebraici erano secondi solo a quelli italo-americani, con i quali spesso collaborarono, poi la loro influenza andò scemando perché non riuscirono o non vollero trasmettere il ‘mestiere’ alle giovani generazioni. Quella israeliana è una criminalità di matrice diversa, che origina dalle comunità ebraiche del Marocco o dell’Egitto, specie nel secondo caso perseguitate e scacciate a seguito delle guerre tra Israele e i Paesi arabi dei decenni dopo il secondo conflitto mondiale. Il cambiamento grosso arriva con la fine dell’Unione Sovietica, nel 1991, quando centinaia di migliaia di ebrei russi ed ex sovietici arrivano in Israele facilitati da leggi sull’emigrazione e sullo spostamento di capitali troppo generose. Con loro – una parte dei quali non erano nemmeno ebrei, ma si spacciavano per tali o si erano procurati documenti falsi – arrivano anche i mafiosi, che in Russia avevano un potere enorme anche sotto il comunismo, sebbene in conflitto latente con i clan non ebrei che spesso erano anche antisemiti. Con gli Stati Uniti la mafia ebraica ha comunque mantenuto i più importanti legami di business – traffico di droga in primis -, tanto da spingere le autorità Usa a un certo punto a imporre agli israeliani metodi diversi di contrasto e un impegno all’altezza della sfida.

Luca Francesco Laviola

Nel libro spieghi che il fatto che le banche israeliane spesso non prestino denaro ad arabi, incrementi le associazioni mafiose che si dedicano all’usura. Mi ha colpito questo aspetto dei mancati prestiti, perché avviene?

In generale la popolazione arabo-israeliana – che è una forte minoranza – è più povera e precaria e quindi offre minori garanzie alle banche. Di sicuro negli ultimi 10 anni, in cui ha governato quasi sempre Netanyahu, c’è stata una tendenza a emarginare l’elemento arabo, a non favorirne lo sviluppo economico, accentuando quella sensazione di cittadinanza di serie B che ha creato spazio, come sempre accade, per la mafia. Diciamo che i governi di destra e di estrema destra hanno ‘lasciato fare’ le gang arabo-israeliane, che come accennato hanno preso il posto di quelle ebraiche, perché in fondo vessavano quasi solo la popolazione araba di Israele. Ma ciò ha avuto e ha conseguenze su tutto il Paese, dividendolo ancora di più al proprio interno e indebolendolo.

Infiltrazioni mafiose nel governo, che hanno coinvolto pure Netanyahu, portandogli più di qualche grana, e nella polizia, avvicinano Israele a un paese Sudamericano. È così?

Israele nonostante la guerra ha un’economia molto più solida e avanzata di qualsiasi Paese sudamericano. La mafia israeliana ha avuto e ha rapporti con le bande dell’America latina, specialmente con i cartelli della droga messicani e colombiani. Paragonare lo Stato ebraico a una nazione sudamericana sarebbe eccessivo. I legami con la mafia di Netanyahu non sono mai dimostrati in un tribunale. Prima della guerra di Gaza scatenata dall’attacco di Hamas era sotto processo per varie ipotesi di reato legate alla politica e agli affari, al finanziamento del partito Likud e delle sue campagne, e molti osservatori sostenevano che volesse riformare la giustizia – provocando manifestazioni di massa dell’opposizione – per risolvere i propri guai giudiziari. Altri ministri dell’attuale governo hanno avuto problemi con la legge, anche per reati comuni o legati all’estremismo politico. In passato il Likud, il partito storico della destra israeliana, ha avuto casi di deputati con legami familiari con le ‘famiglie’ mafiose. E anche il partito del falco di origine russa Lieberman, spesso alleato del Liìkud, è stato accusato nella persona del suo leader di relazioni pericolose con figure potenti a metà tra gli affari e la criminalità. Non ci sono mai state però condanne clamorose di politici, a differenza dei vari ergastoli comminati a diversi boss. Insomma, Israele non è il sudamerica, ma i legami del potere con le mafie vanno sicuramente indagati meglio. Mi ha colpito nella mia ricerca su un argomento che non conoscevo affatto che il quotidiano di centro-sinistra Haaretz, tra i più autorevoli, chiamasse regolarmente il governo ‘Mafia State’ o denunciasse l’intenzione di fare del Paese un ‘Mafia State’, almeno prima della guerra.

La guerra nella striscia di Gaza, per ovvi motivi, distrae dal fenomeno mafia ma la mafia guadagna parecchio dalla guerra non solo in termini di non visibilità…Ce lo spieghi?

Le mafie guadagnano perché hanno più libertà di azione, con le forze di sicurezza ancor più concentrate sui palestinesi, e poi vendono armi anche ai nemici di Israele. In termini di visibilità, con l’impoverimento del Paese dovuto ai costi della guerra e al richiamo sotto le armi di tantissimi giovani e meno giovani, i clan possono attivare il loro ‘welfare parallelo’ fatto di posti di lavoro illegali, di prestiti a usura, di arruolamento di nuovi membri. Ciò vale soprattutto per i clan arabo-israeliani, che nuotano in una popolazione per lo più araba e vessano proprio chi risente ancora di più del conflitto, anche perché la diffidenza verso l’elemento arabo (musulmano, ma anche cristiano) non può che essere aumentata nella società dopo il massacro e la presa d’ostaggi massiva del 7 ottobre. Ricambiata di sicuro dall’odio degli arabo-israeliani di fronte alla carneficina senza freni a Gaza e alla repressione aumentata in Cisgiordania con i coloni ebrei che ormai spadroneggiano violenti coperti dall’esercito.

Scopriamo che anche Israele ha il suo “Padrino”. «Ogni giorno mettono in galera gente senza ragione» questo il commento del «Padrino israeliano» ai giornalisti il giorno dell’arresto. Cos’è? “Guapponeria”, sfida o assurda convinzione di rendere un servizio alla comunità?

E’ la classica dichiarazione del mafioso che quando viene preso spesso nega l’esistenza stesso della mafia. In quel caso si trattava di un boss storico incastrato dopo decenni e che ormai si sentitva intoccabile. La verità è che quando Israele, negli anni Novanta-Duemila, ha deciso di fare davvero la guerra alla mafia, con gli strumenti che ha, in pochi anni ha messo in ginocchio le gang. Solo che poi, come in Italia, l’attenzione scema e la mafia si riorganizza, magari in modi diversi. Il Padrino israeliano, comunque, aveva un potere reale ed era un grave minaccia per la società, come scrisse il giudice nella sentenza. Certo avrà anche imitato le pose e le dichiarazioni sentite dai suoi ‘colleghi’ americani, italiani, colombiani etc. O quelle che aveva visto in serie tv come ‘I Soprano’.

Torniamo alle discriminazioni contro gli arabi. Questi accusano lo stato israeliano di non combattere la mafia perché metterebbe in pericolo solo gli arabi e non gli ebrei. Cosa c’è di fondato?

E’ così e l’ho accennato prima. I numeri delle vittime tra la comunità araba per delitti legati alle gang lo dimostrano e sono aumentati a dismisura negli ultimi decenni. Volendo si potrebbe azzardare un paragone tra come Netanyahu ha lasciato sviluppare Hamas a Gaza per trovarsi il nemico perfetto e come ha lasciato allentare la presa poliziesca sulla mafia araba. Lo scopo, seppur con un livello di drammaticità e di conseguenze umane incomparabile, potrebbe essere sempre quello di screditare i palestinesi all’interno e all’esterno e preparare la separazione tra i due popoli, altro che due Stati!

Infine, domanda personale: dopo vent’anni di ANSA, buona parte in cronaca di Roma, come ti avvicini a questo tema?

Ritrovando le mie radici di formazione, che affondano nella politica estera, e mettendo a frutto l’esperienza da cronista, che in certe occasioni o periodi si è occupato anche di mafia. Di 19 anni in ANSA ne ho passati 6 in cronaca di Roma – dove ovviamente spesso si trattavano argomenti di rilievo nazionale – e altri 2 alle cronache nazionali, durante la pandemia. In precedenza anche uno a Milano. In queste esperienze ho imparato davvero a fare il cronista e a raccontare, ora si tratta solo di passare da 70-90 righe a 100-120 pagine. Il che all’inizio non è stato facile.La mafia in Israele, poi, essendo un argomento a me sconosciuto, apparentemente esotico e quasi provocatorio visto il periodo, eppure invece stimolante e proficuo per capire quel che accade, è stata una sfida inaspettata e formativa.

Appuntamento domenica 14 aprile alle ore 11:00 quando il libro verrà presentato nel Giardino dei reietti, nel quartiere Monteverde di Roma, con con Giampiero Gramaglia, Pietro Suber e Davide Jabes.