#EuroBasket2017, le 5 cose che abbiamo imparato da Italia Finlandia

Andreassi sulla vittoria agli ottavi di finale di #EuroBasket2017 della nazionale di Ettore Messina

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Italbasket festeggia la vittoria sulla Finlandia a #EuroBasket2017

L’Italia batte la Finlandia. Lo fa in maniera autoritaria, sovrastandola 70 a 57 con un primo tempo spaziale. Siamo ai quarti, ostacolo sempre insormontabile nelle ultime edizioni del torneo. E nei quarti non troveremo né la Francia (eliminata dalla Germania) né la Lituania (eliminata dalla Grecia). Onestamente, se mi avessero detto ad inizio torneo che tra Francia, Lituania ed Italia l’unica ad accedere ai quarti sarebbe stata l’Italia avrei dato del matto o ubriaco al mio interlocutore. Ed invece ci siamo. Aspettando un’altra corazzata. Quella Serbia che partirà con tutti i favori del pronostico contro di noi. (In realtà mentre vi scrivo Serbia Ungheria ancora non si è giocata ma ci possiamo sbilanciare). Ma, forse, è lecito sognare. Cerchiamo di capire perché.

  1. Siamo una squadra. Siamo una squadra tutta cuore, palle ed orgoglio. Abbiamo il carattere del nostro capitano Gigione Datome. Preferiamo l’extrapass al tiro, l’assist al canestro. Siamo i più forti del torneo da questo punto di vista. Probabilmente l’episodio Gallinari è stato il cemento che ha reso questi atleti un unico granitico blocco.
  2. Se gli avversari difendono ad un metro, se non ci pressano, se ci lasciano sempre la prima opzione, diventiamo mortali. Ed anche molto belli e spettacolari da vedere. Così ha pensato di difendere la Finlandia e si sono beccati in un tempo 48 punti con bombe che arrivano da qualsiasi parte. Da Belinelli a Melli a Datome. Difendete così e diventiamo i Golden State Warriors.
  3. L’abnegazione dei “campioni”. Belinelli contro la Finlandia sembrava stesse facendo la gara del tiro da tre in NBA (una l’ha pure vinta). Ma poi tornava in difesa a ruggire come un leone. E, soprattutto, non tira a tutti i costi. Anzi scarica se necessario. (Vabbè, tranne il tiro dal salotto di casa sua. Un capolavoro assoluto ma definirlo fuori da ogni schema logico mi pare il minimo. Diamogli l’attenuante della fiducia). Daniel Hackett, fermo da otto mesi, guida la squadra, apre il gioco, dispensa assist e ruba palloni. Un Hackett così non lo ricordavo da un po’. Una maturità impressionante anche nel gestirsi in campo. Nico Melli sembra Claudio Gentile in Italia Brasile del 1982. Markkanen, presentatosi come il fenomeno della prima fase, sembra un bambino al provino quando lo fanno giocare con i ragazzi più grandi.
  4. Capitolo a parte merita il capitano, Gigi Datome. O, per dirla con Fabio Caressa, Akim Datomewon. Lui c’è sempre. C’è quando bisogna mettere il canestro perché nessuno si prende il tiro. C’è quando bisogna far sentire i muscoli in difesa. C’è quando bisogna fare la faccia brutta agli arbitri. C’è quando bisogna inchiodare gli avversari con delle stoppate che ti fanno passare la voglia di essere un giocatore di basket. Gigi Datome c’è sempre. Questo è un campione vero, ragazzi.
  5. La panchina. Tolto Filloy, Aradori e Biligha c’è oggettivamente molta tristezza sulla panca azzurra. E questo potrebbe essere, insieme al reparto lunghi che possono definirsi tali solo a Lilliput, il nostro vero tallone d’Achille. Certo è che quando entra Filloy sembra un carrarmato. Con una quantità di energia che ti spinge a contare le maglie azzurre in campo. Hai la sensazione di giocare in 6. E Pietro Aradori che nei pochi minuti in cui gioca fa solo cose giuste? Magari non vistose ma giuste. E Biligha? Biligha sembra l’antibasket a vederlo giocare. Ma poi chi lo mette il canestro che uccide la Finlandia? Paul Biligha.

Una cosa, però, è certa. Per poter solo immaginare di proseguire questo torneo dovremo evitare i cali di tensione ed i black out che abbiamo avuto in tutte le partite finora giocate. Non ci saranno più concessi minuti e minuti senza segnare, amnesie che portano a palle perse, tiri forzati senza logica. Su questo bisogna lavorare. Senza la continuità sui 40 minuti col cuore e con la voglia ci facciamo poco davvero.