Abbiamo intervistato Succi in occasione dell’uscita, il 20 settembre, del suo ultimo album di inediti “Carne cruda a colazione”, per La Tempesta Dischi- Soviet Studio. Si tratta del secondo lavoro firmato dal cofondatore e autore dei Bachi da Pietra. Dieci tracce, nove più una bonus track, che danno vita a un album dove tutte le cose sono al posto giusto e arrivano dritte, senza incertezze già al primo ascolto. Le nostre interviste solitamente raccontano le storie dei gruppi, degli artisti. Con Succi ci siamo concentrati sull’ultimo lavoro, ma, come avrete modo di leggere, i discorsi e i ragionamenti ci hanno portati a spaziare su più fronti. Per chi volesse approfondire lasceremo comunque i riferimenti ai progetti a cui partecipa e ha partecipato l’artista. Buona lettura.
Buongiorno e benvenuto nella rubrica dedicata alle interviste di Meta Magazine. Partiamo dal titolo dell’album “Carne cruda a colazione”. Niente marmellate per addolcire il nuovo giorno che nasce. C’è la vita, quella di tutti i giorni che non puoi prendere diversamente da come viene. Appena apri gli occhi lei è li.
“Si basta marmellate. Ognuno faccia come vuole”;
La premessa ha come conseguenza che nel disco c’è molto di te, ma a un livello asciutto, essenziale. Hai ridotto ai minimi termini a partire dal nome, Succi, racconti le cose che hai da dire e gli altri ne facciano quello che vogliono. Non mi pare un modello compositivo alla ricerca di connessioni sentimentali il tuo. No field no feelings.
“Il sentimento è soggettivo, la lacrimuccia è soggettiva. Io appartengo alla categoria del “ma anche no”;
“Povero zio”, ma anche povero dio. Uno che non ha ancora capito che anche lui è carne, carne come tutti noi. Con i suoi giudizi si eleva a carnefice, ma sta macellando la sua stessa carne.
“Bravo, hai colto nel segno. Credo dipenda dai pr, dalla gente che manda in giro con l’opinione di dio. Si eleva a decisore innocente del mondo. Se decidi devi prenderti la responsabilità delle tue decisioni. Cerco sempre di essere chiaro. Non sempre ci riesco. Mi piaceva l’idea del colloquio a tu per tu con l’altissimo e confortarlo”;
Ai cinquanta anagrafici all’ora si arriva in ritardo per ammirare l’oceano che non c’è più. Si guarda la strada perché la presenza della memoria è incombente e ingombrante. Le stelle, insomma, le lasciamo guardare agli altri?
“Quando guido io si altrimenti diventa problematico. Sei più bravo di me a raccontare quello che voglio esprimere”;
Se ti dicessi che il momento in cui ti accorgi che la risposta a tutte le domande della tua esistenza sei tu e che quello che hai fatto non è tutto buono, arriva anche prima dei cinquanta anni ci crederesti?
“Si. Mi è successo tante volte, in realtà, di sbattere contro situazioni che avevo creato io stesso, mica un altro. Ricordati che la risposta sei tu. Ricordati chi sei. Credo sia un buon esercizio per non attribuire ad altri responsabilità che in realtà sono tue. Sei tu che decidi. Puoi andare dove ti porta il culo”;.
Una delle immagini che mi ha colpito, perché utilizzata in modo coerente ed evocativo è quella della bici. Mi pare di aver capito che rappresenta il collegamento con l’infanzia?
“Io la uso in quei termini. Anche nel disco precedente. Mi piace come immagine. Sei tu che guidi. Mi piace seminare collegamenti nei miei lavori, anche a distanza di tempo. La bici è un oggetto che mi ha accompagnato nella vita”;
Quando, appoggiati sugli arti inferiori, ci sporgiamo sui belvedere alla ricerca di panorami nuovi, inevitabilmente mostriamo le natiche, le nostre debolezze?
“E’ vero e vale anche per quelli che si danno arie. Metti in mostra il culo, ma alla fine quelli che portano il culo sono i piedi. Mi piace rimanere terra terra. Come diceva il saggio, “Anche per oggi si non vola”;
Once in a lifetime. Un predicatore alla radio racconta che non è sbagliato vivere in una casa rettangolare con una bellissima moglie, eccetera. David Byrne campiona questa voce e sappiamo tutti come è andata a finire. Come nascono le tue canzoni? Parola e musica. Capita nel tuo lavoro che una delle due si sacrifichi sull’altare dell’altra?
“La parola è già musica, ha ritmo, suono e significato. Spesso la parola mi suggerisce la musica. Tutto, in ogni caso, nasce da un’idea di fondo. Se non c’è idea, non c’è canzone. Nasce prima il suono. Io cerco il vestito adatto per l’idea. Tra le mie fonti di ispirazione, per dirtela meglio, c’è Dante. In “Povero zio” ho avuto l’idea di usare percussioni per entrare nella lunghezza d’onda del sentimento primordiale che è la sacralità. In algoritmo, invece, c’è un riferimento ai Kraftwerk”;
“La guerra nucleare” e “quei funghi li possono far male”. Gianni Borgna nel capitolo finale di “Storia della canzone italiana”, ridà dignità ad artisti quali Righeira con “Vamos a la playa” e Gruppo italiano con “Tropicana”. Brani che raccontano di un mondo post esplosione nucleare, nel quale non c’è più terrore per la catastrofe, nel quale tutto è già stato detto o scritto. Secondo te siamo fermi all’era post atomica, oppure la nostra è una realtà ciclica e questa fase è stata superata?
“Secondo me è come un ciclo. Il caso, la sorte hanno voluto che mi fossi trovato nella stessa situazione, che racconto in “Grazie per l’attesa”. Un blackout totale con le compagnie telefoniche che si rimpallavano la responsabilità. Credo nella ciclicità delle cose. Anche qui ritorna l’immagine della bicicletta. È interessante il testo che tu citi. L’anno scorso ho avuto modo di partecipare a un progetto proposto da Tannen Records. Si tratta di un progetto a più mani (“Apocalipse lounge”). I producer avevano delle basi e volevano un’ idea per il nome e il testo da associare. Io avevo proposto una cosa che spero presto uscirà. C’era il tema della fine del mondo, dell’affacciarsi sul baratro dell’apocalisse, rilassati e ben disposti;
Alessandria è grigia, più grigia di te e lei era nascosta con le sue 22 candele e 22 primavere. Anche dentro al grigio, nascosto, si può trovare qualcosa di prezioso, “un grappolo buono dentro a una foglia”?
“Si, si può trovare anche nella città più incartata e incantata di italia. Incantata nel senso che non l’ha mai cantata nessuno. Il testo vuole arrivare proprio dove sei arrivato tu. E’ una storia d’amore in una città impossibile”;
“Chiamatemi Ismaele”. Le balene non le hai ancora viste. Di quelli che nel romanzo di Melville sono partiti alla ricerca della balena, ne è tornato a casa solo uno. E’ il segno che bisogna accontentarsi?
“La ricerca è la cosa che ti muove. Mi fa piacere che rimandi a quel testo. Cesare Pavese ne fece una bellissima traduzione. La ricerca di una cosa che non arriva mai. Il tempo biblico delle cose da scoprire non arriva mai. Trovo una sorta di lezione di vita quello che mi è accaduto quando, per girare il video di “Balene per me”, mi sono imbarcato per un whale watching al porto di Genova. Quel giorno, con condizioni perfette, le balene non si sono viste. Il video attesta la storia che ti ho raccontato”;
Ti ringrazio per aver accettato la mia falsa provocazione; anche io credo che la ricerca, anche se involontaria, non percepita, sia il senso dell’esistenza.
“Sono d’accoro con te e tornando alla ricerca della balena. Penso ai Motörhead che “dicevano” che la caccia è meglio della presa, oppure a Giorgio caproni ne “Il Conte di Kevenhüller”, un testo improntato sulla caccia. La cosa che cerchi, alla fine ce l’hai addosso, addosso a te. Alla carne. Alla carne cruda”;
“Algoritmo”, video del brano che ha anticipato l’uscita dell’album:
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BLOGAUDIO dedicato all’ultima opera in versi di Giorgio Caproni: caproni.wordpress.com
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