Il Disertore, amore, passione e guerra nel primo romanzo di Ester Palma

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L’amore incondizionato, il desiderio e l’orrore nella Toscana del 1944, devastata dalla guerra. Con una narrazione passionale, a tratti carnale, ma anche molto poetica, Ester Palma, giornalista del Corriere della Sera, già opinionista de La vita in diretta e scrittrice teatrale (Fermenti Lattici), nel suo primo romanzo ci racconta una storia ad alto tasso emotivo e di eros. Una storia in cui immedesimarsi, trepidare, tifare per il lieto fine grazie a personaggi veri e terrenamente umani. Robin è un soldato dalla bellezza irresistibile che ha disertato l’esercito tedesco. Ha vissuto in orfanotrofio, si è venduto per denaro ma un giorno incontra Susanna, giovane, innocente e pura. Per difendere il loro amore, assoluto e incondizionato, affronteranno enormi sacrifici e un’intera epoca. È il Disertore, primo volume della tetralogia Wunderbar, edito da Le trame di Circe.

Perché hai deciso di collocare il romanzo proprio in quel determinato periodo storico?
Ho scelto la Seconda guerra mondiale perché volevo raccontare la storia di un grande amore vissuto in condizioni estreme, in cui ogni giorno la vita e la morte si affrontano, come in una battaglia, il che accade da sempre in tutti i teatri di guerra, come l’Afghanistan martoriato di oggi. La vicenda parte dalla scoperta dei protagonisti del sentimento così puro e forte che li lega. Sono molto giovani, per entrambi si tratta della prima volta e lo vivono, come tutti i ragazzi, con stupore, meraviglia e allegria. Ma cosa succede quando finiscono a lottare per salvare non solo il loro amore, ma le loro stesse vite? Cosa cambia, cosa resta uguale? E’ la domanda cui ho cercato di rispondere nel libro.

I due protagonisti si sacrificano fino allo stremo in difesa del loro amore, credi che le nuove generazioni sarebbero disposte ad affrontare sacrifici simili per difendere il loro?
Ecco, il secondo motivo per cui ho scelto proprio quell’epoca storica, è il modo in cui allora l’amore veniva vissuto, in modo assolutamente “non fisico”, con l’attesa e il desiderio che lo rafforzava e lo rendeva più resistente, spesso indistruttibile. Sebbene sia assolutamente convinta che l’essere umano resti sempre lo stesso, aldilà delle sovrastrutture culturali, delle mode e dei cambiamenti di mentalità, la differenza è che oggi i sentimenti tendono a essere “consumati” forse troppo in fretta e finiscono per rischiare di esaurirsi, di spegnersi alla prima difficoltà o nel tentativo di cercare sempre qualcosa di nuovo, di più soddisfacente. Spesso i ragazzi, e non solo, di oggi collezionano storie e amori senza futuro, ma credo ugualmente che siano in grado di vivere un sentimento totalizzante come quello dei miei protagonisti. Oggi è certamente più improbabile, ma non impossibile.

Tornando al periodo storico in cui è ambientato il romanzo, durante l’occupazione tedesca ci sono state molte storie d’amore tra gli uomini delle truppe occupanti e le donne italiane, quest’ultime dopo la fine della guerra sono state duramente colpite se non addirittura uccise perché accusate di collaborazionismo, l’amore può essere punito?
Assolutamente no, quello che è stato fatto a quelle donne, se sono state punite solo per i sentimenti che provavano, è stata una terribile ingiustizia. Purtroppo credo sia inevitabile che dopo ogni guerra i vincitori scatenino vendette sanguinose contro gli sconfitti. Lo vediamo anche ai nostri giorni: i primi a essere a rischio a Kabul, dopo l’arrivo dei talebani, erano proprio i collaboratori delle varie ambasciate e le loro famiglie. E comunque sulle malefatte, quando non proprio atrocità, commesse anche dai partigiani nel nostro Dopoguerra, sull’odio e la violenza scatenati in alcuni casi contro cittadini inermi, molto è stato scritto, fra mille polemiche, come dimostra il caso Pansa, ma credo che molto ci sia ancora da scrivere e far sapere.

Nel tuo romanzo dai descrizione di vari tipi di amore, anche malato, quello mercenario del passato di lui, quello ossessivo della dottoressa e delle infermiere della caserma in cui viene rinchiuso, e quello puro, romantico, e soprattutto ricambiato della sua amata in un’epoca storica lontana dalla nostra, è possibile secondo te rieducare le nuove generazioni ad un amore più sano?
Come ho descritto nel libro, l’amore malato non è una prerogativa della nostra epoca, è sempre esistito: gelosia, rabbia, voglia di vendetta, prevaricazione, violenza e ferocia hanno sempre abitato purtroppo il cuore degli uomini e anche delle donne, dall’inizio dei tempi, già da Caino e Abele, da Erode che fa decapitare San Giovanni Battista perché travolto dal desiderio di Erodiade. Oggi però ne abbiamo forse più consapevolezza: ma non credo che i corsi antiviolenza nelle scuole o per i giovani siano la reale soluzione. In parte sì, ma quello che serve davvero sono i valori da trasmettere con l’esempio ai cittadini di domani. Chi cresce in una famiglia sana, dove i genitori sanno dire anche dei no motivati e giusti, in genere non tenderà a ricorrere alla violenza. Ma ripeto, serve l’esempio. Come diceva San Francesco ai suoi frati quando li mandava a convertire i fedeli, “se necessario, anche con le parole”. Lì si trattava evidentemente di un discorso religioso, ma il senso credo valga anche oggi per la violenza di genere.

Intervista di Francesco Testi