Incontri, Mariano Leli “Manca la visione verso il Bene Comune”

Angelo Pugliese nel suo terzo incontro intervista l'esponente del Pri di Nettuno Mariano Leli

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Angelo Pugliese incontra  Mariano Leli

“La politica locale oggi? Manca la visione verso il Bene Comune.

Dopo Carlo Eufemi, e Maria Vittoria Frittelloni, esponenti storici del PSI e del PCI litoraneo degli anni ‘70 e ‘80 tocca a Mariano Leli, 73 anni, figura storica di quello che è stato il PRI a Nettuno, il partito di La Malfa e Spadolini e che nella città del Tridente arrivò a toccare anche risultati percentuali intorno al 26% confrontarsi con il nostro “viaggio” in quelle che erano le dinamiche della politica locale ai tempi della Prima Repubblica 40 anni fa e stilare dei confronti con quelle che sono le vicissitudini dell’attuale dibattito politico sulla costa laziale.

Quale fu la prima esperienza in Consiglio Comunale e che tipo di selezione della classe dirigente c’era in quel periodo a livello locale?

“Avevamo una classe dirigente nominata dai congressi. Quando si arrivava in Consiglio Comunale si doveva rispettare la linea politica del Partito e si arrivava certamente preparati. A livello locale con la seconda repubblica è saltato tutto e abbiamo sia a livello nazionale che locale movimenti personalistici. L’unico Partito tradizionale che vedo oggi è il PD. Ma ritornando alla mia prima esperienza, fu nel 1975 quella di presidente della commissione consiliare di Nettuno sull’urbanistica. Incarico che affrontai con timore e rispetto per chi mi aveva preceduto ma che cercai di affrontare con il vigore che era necessario per impostare i nuovi piani particolareggiati”;

40 anni fa Anzio e Nettuno nelle loro diversità, dialogavano su molti problemi in comune. Oggi però le cose sembrano essere un po’ diverse. Lei crede nella necessità di fare Rete tra questi due comuni?

“Anzio e Nettuno vivono tanti aspetti in simbiosi ma le culture, le storie di origine sono diverse. Però la complementarità di queste due città esiste. 40 anni fa Nettuno aveva una maggiore continuità amministrativa e all’epoca questo era un vantaggio che faceva si che la mia città acquisisse di fatto un ruolo di capofila dello sviluppo rispetto ad Anzio. Oggi vi è necessità di fare rete ma ogni città deve autonomamente adeguarsi con un proprio sviluppo. Nel nostro caso oggi Anzio e Nettuno sono più unite dal fatto che la maggior parte dei residenti sono legati al pendolarismo e agli impieghi pubblici che da obiettivi di sviluppo. Non basta. Nettuno sul turismo deve recuperare qualcosa”;

Anzio e Nettuno hanno in qualche maniera impostato negli ultimi 40 anni delle idee di sviluppo sul discorso Porto. Nella sua città di fatto il Porto è stato realizzato, con i capitali della Famiglia Agnelli. Ad Anzio invece è rimasto nel libro dei sogni, per motivi troppo lunghi da spiegare…Che riflessioni trae da queste esperienze simili e diverse allo stesso tempo?

“Nettuno ha scoperto la potenzialità del mare negli anni ‘80 con la realizzazione del Porto. Eravamo una città agricola, inutile negarlo. Come amministrazione abbiamo scommesso che il nuovo Porto potesse fare da traino ad un grande sviluppo economico. Di fatto abbiamo scoperto che alla fine il Porto da volano dello sviluppo economico si è rivelato semplicemente un soggetto a se stante dalla realtà della città. Però non lo rinneghiamo. Meglio avere creato le condizioni perché Nettuno avesse questa infrastruttura, anche se alla fine la gestione è diventata strettamente privatistica. Prima del Porto il Borgo di Nettuno era eroso dalle onde marine alte due metri, ora il Borgo è distante 150 metri dal mare ed è protetto da questi fenomeni. Abbiamo comunque attivato le condizioni per garantire un servizio alla città”;

Cosa possiamo fare per avere su questo territorio, nel futuro prossimo dei consiglieri e dei sindaci preparati, non schiavi del consenso elettorale fine a se stesso?

“Cosa possiamo fare? Intanto dobbiamo rovesciare il discorso. In un mondo politico come quello di oggi, in cui i partiti non fanno formazione tecnica ed etica, dobbiamo forse concentrarci sugli elettori, che specialmente quando si tratta di andare a votare per delle elezioni comunali, cedono volentieri il loro consenso a chi gli promette di asfaltare la strada, sistemare un parente, risolvere una controversia col comune, insomma a coloro che praticano il famigerato “do ut des”. Manca la visione del Bene Comune. Se questo meccanismo permarrà, non ci sarà soluzione. Non ho ricette magiche per creare nuove classi dirigenti locali preparate. E da quello che vedo sono molto pessimista che il corpo elettorale acquisisca questa maturità velocemente”;

Lei pensa che il sistema elettorale per la elezione dei sindaci e del consiglio comunale attuale, abbia bisogno di un “tagliando”?

“Ferma restando l’importanza dell’elezione diretta del sindaco io recupererei l’istituto della sfiducia costruttiva che avevamo preso a prestito dal sistema tedesco che permetteva al Consiglio Comunale di procedere a delle correzioni di rotta quando una consiliatura nasceva non troppo bene. Allo stesso modo prevederei un ritorno di competenze al Consiglio Comunale non solo sul voto di bilancio ma anche su una determinata serie di delibere di giunta. Ma affronterei anche il tema della presentazione delle liste per inserire dei meccanismi che permettano al massimo 200 o 250 candidati totali per 24 posti di consiglio comunale e non un proliferare di liste che oggi comporta 600-650 candidati e che di fatto taglia ogni possibilità ad un sereno “voto di opinione” a livello locale”;

Solo questi accorgimenti? O ne ha in mente altri?

“Ne avrei anche un altro, ma forse non sarebbe ben digerito da molti aspiranti consiglieri e sindaci: un bel test di valutazione, una sorta di patentino sulle materie di competenza del Consiglio Comunale e del sindaco, da ottenere preventivamente prima di potersi candidare. E’ una provocazione, ma oggi ci troviamo spesso di fronte a neo-consiglieri davvero sprovvisti di ogni basilare riferimento per comprendere quello che votano nell’assise consiliare…”.