“La volpe artica”, l’ultimo libro di Silvana Zambonini

Luca Priori ha intervista l'autrice di La volpe Artica, l'ultimo libro di Silvana Zambonini Bellaveglia, scrittrice che vive a Nemi nei Castelli Romani

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Silvana Zambonini Bellaveglia

L’autrice di Nemi ha dedicato l’opera all’associazione ANMIL che tutela i lavoratori infortunati o tecnopatici e le loro famiglie

“La volpe artica” l’ultimo libro di Silvana Zambonini con uno sguardo agli infortunati sul lavoro

Silvana Zambonini Bellaveglia è un’autrice dei Castelli Romani. Vive a Nemi ed ha al suo attivo diversi libri che hanno attirato l’attenzione dei lettori e della critica. Il suo ultimo libro è “La volpe artica”, un’assai fruibile lettura di circa 200 pagine, un thriller appassionante, che tiene col fiato sospeso.

Come nasce il tuo nuovo libro “La Volpe Artica”?

“Inizialmente doveva essere un  racconto poi i personaggi mi hanno preso la mano e mi hanno convinto a farne un libro. Sette personaggi scampati fortuitamente a un inaspettato atterraggio  si trovano a dover rispondere a domande sulla morte della bellissima hostess. Ciascuno ha qualcosa che coinvolge psicologicamente. Solitamente chi scrive  entra in sintonia con le anime che rappresenta e a cui dà  volto e storia, spero di esserci riuscita. Allo stesso modo credo che ciò si verifichi  in ogni arte. Immagino ad esempio un compositore che parla, dispone e gioca con le note musicali, un artista con il marmo che scolpisce o il vetro a cui dà forma. A me piacciono le parole che mi aiutano a descrivere una situazione e le persone che la vivono. In questo caso si tratta di un omicidio che si  perfeziona durante un atterraggio di emergenza ma che ha radici lontane e ben definite nella mente dell’assassino”;

Tre aggettivi per descrivere la tua nuova opera e convincere i lettori alla lettura?

“Thriller coinvolgente, forse intrigante, chiuso e aperto nello stesso tempo. Come  si sente chi viaggia su di un mezzo di trasporto  (aereo, treno, auto…) e cerca sé stesso oltre il “chiuso” in cui si sta muovendo per giungere a destinazione”;

Il libro è dedicato all’ANMIL… Puoi spiegarci il tuo impegno per Anmil?

“Mentre scrivevo mi è venuta spontanea una domanda: “In questo caso di omicidio, chi risarcirebbe i parenti della vittima? la compagnia aerea, l’Inail o un lungo percorso giudiziario?” Da qui il desiderio di dedicare il libro all’ANMIL che per finalità di Statuto risponde a queste domande  attraverso il suo Patronato, il CAF, le Politiche attive sul lavoro e la Fondazione Sosteniamoli Subito per gli ex esposti all’amianto. All’apparenza semplici domande  che nella realtà quotidiana coinvolgono lavoratori infortunati o tecnopatici e le loro famiglie,  che necessitano di assistenza per le insormontabili difficoltà burocratiche. Sono iscritta all’Associazione da 20 anni dopo una  malattia professionale riconosciuta in sede giudiziaria e da quel momento ho voluto testimoniare per l’ANMIL cosa significa essere tecnopatici e aver prestato attività lavorativa in un “sick building” ossia un edificio malato sin dalla costruzione. La mia testimonianza è stata portata  in ogni sede  istituzionale, in tv, nelle scuole dove l’Anmil è  impegnata sulla “Sicurezza”  che deve essere  prioritaria in  ogni realtà lavorativa. La cronaca purtroppo ci dice che non è così”.