Verremo ancora alle vostre porte
e grideremo ancora più forte»
Di meriti lo sport ne ha infiniti, talmente tanti che farne un elenco sarebbe praticamente impossibile, opera da titani che vogliono battere record inutili e assurdi. Ma come ogni medaglia che si rispetti, ha il suo rovescio. Con lo sport nasce il doping. Con la competizione nasce l’inganno. E quelle di Rio sono le Olimpiadi del doping. Non parlo di maggior numero di atleti che fanno uso di sostanze proibite e nemmeno di casi clamorosi già scoperti in questi pochi giorni di competizioni. Parlo dei mesi, anzi direi anni, che ci hanno accompagnato a Rio.
Ieri abbiamo passato una giornata ad aspettare il verdetto di un tribunale che doveva decidere se il nostro marciatore Alex Schwazer poteva prendere parte ai Giochi dopo che è stato trovato positivo a un controllo di inizio anno. Una positività che, se confermata, avrebbe portato anche alla radiazione dell’azzurro poiché recidivo. Un verdetto che è slittato. Ma intanto lui è lì, a Rio, a proclamare la propria estraneità e pronto a scendere in strada e marciare. È innocente? È colpevole? Non lo so, e forse non lo sapremo mai come il caso Marco Pantani insegna. Ma il punto è che il doping ormai è caso da avvocati e tribunali. Non c’è più nulla di veramente proibito, fino in fondo. E la colpa è dello stesso Comitato Olimpico Internazionale che a volte usa il pugno duro, altre volte fa finta di nulla.
Queste, non dimentichiamolo, sono le Olimpiadi del “doping di stato” russo, quello che ha lasciato a casa un numero talmente alto di atleti da sembrare irreale.
Ma quel che è successo ieri sugli spalti della vasca Olimpica ha il sapore di un’inversione di marcia, se non proprio di una svolta. Per la prima volta due atleti sono stati fischiati e ricoperti di “buuu”. La russa Yulia Efimova, implicata nello scandalo meldonium ma a cui la Fina ha concesso comunque di gareggiare ritirando le accuse, ha pianto nonostante la medaglia d’argento al collo conquistata nei 100 rana. I fischi che hanno accompagnato l’annuncio del suo nome sono stati davvero tanti, troppi. Tanto da costringere lo speaker ad un annuncio imbarazzato per «non rovinare l’atmosfera».
Stessa sorte per il cinese Sun Yang, campione Olimpico nei 1500 stile libero che ieri ha conquistato i 200 stile, ha provato a scherzare con il pubblico ma ha ricevuto indietro solo fischi e contestazioni. Anche il suo nome è strettamente connesso al doping: nel maggio 2014 viene trovato positivo ad uno stimolante e viene sospeso per tre mesi. La Federazione Cinese si affretta a dire che si tratta solo di farmaci per curare il cuore di cui l’atleta ignorava il divieto.
Tutte le giustificazioni possibili non riescono a contenere però un pubblico che sempre di più esige dai suoi eroi un comportamento al di sopra di ogni sospetto. E allora i fischi e i “buuu” sono lì a ricordarglielo: «verremo ancora alle vostre porte e grideremo ancora più forte» cantava De André.