Le risorse energetiche ridisegnano i rapporti tra gli Stati nazionali

L'analisi di Domenico Parisi sui nuovi equilibri geopolitici ridisegnati dagli approvvigionamenti energetici globali

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La transizione ecologica richiede oggi l’utilizzo di risorse alternative ai combustibili fossili, si è così innescata la corsa alle cosiddette “terre rare” e non solo.

 

La curva dello sviluppo tecnologico cresce in scala geometrica, di conseguenza aumenta anche la domanda di tutti i componenti elettronici miniaturizzati come microchip, inverter ma anche batterie. Per produrre questi componenti e quindi dar seguito alla transizione ecologica soprattutto nei settori della difesa, energetico, sanitario ed automotive, è aumentata la richiesta di risorse energetiche differenti dai combustibili fossili (carbone, petrolio e gas naturale). Parliamo delle terre rare (ittrio, scandio, lantanoidi) e altri minerali quali coltan, litio, cobalto e manganese. Essendo queste risorse finite, chi controllerà la filiera dall’estrazione alla lavorazione ed esportazione, godrà di maggiori vantaggi.

 

Riserve di materie prime e dove trovarle.

 

Come ci insegnano già i combustibili fossili, ci sono Stati Nazione produttori e Stati Nazione che ne dipendono, creando così domanda ed offerta con tutte le conseguenze che ne derivano. Le maggiori riserve di carbone sono negli Stati Uniti, Russia, Cina, India e Australia. Le maggiori riserve di gas negli Stati Uniti, Russia, Cina, Algeria, Nigeria, Kuwait ed Iran. Le maggiori riserve di petrolio sono negli Stati appartenenti all’Opec, segue il Nord America.

 

La geografia delle materie prime alternative cambia notevolmente se analizziamo dove si trovano le maggiori riserve mondiali. Per il litio le riserve più grandi sono in Messico, Cile, Argentina, Bolivia e Afghanistan. Circa la metà delle riserve mondiali di cobalto si trovano nella sola Repubblica Democratica del Congo seguita da Australia e Cuba. La Repubblica Democratica del Congo è anche la terra della maggior parte delle riserve globali di coltan, seguita principalmente da Nigeria, Australia e Canada. Il manganese invece trova il proprio centro nevralgico in Sudafrica. Ancora in Cina, si stima che ci sia circa il 37% delle riserve mondiali di terre rare fino ad oggi scoperte.

 

Il quadro sembra iniziare a delinearsi. La tecnologia avanza inesorabilmente e coinvolge ogni aspetto della nostra vita, a tal punto che ogni apparecchiatura di nuova generazione soppianta i device precedenti e richiede anche aggiornamenti da parte dell’utenza per poterne usufruire.

 

La situazione in Europa.

 

Il continente europeo per cause di forza maggiore si vede costretto ad importare una buona fetta tra combustibili fossili e materie prime alternative. Ci sono 76 miniere attive in Europa (tra litio, cobalto e terre rare) ma non ancora sufficienti a soddisfare la domanda, che soprattutto dopo i vari lockdown è impennata improvvisamente. Per ora la Russia rimane il primo fornitore di gas del vecchio continente (anche se c’è una flessione rispetto al 2019) con un calo dell’approvvigionamento proveniente dalla Norvegia dovuto ai costi di manutenzione. Inoltre, come riportato sul sito delle statistiche europee Eurostat, la Russia si pone anche come primo Stato sovrano da cui l’Europa importa petrolio e carbone.

 

In materia di terre rare l’Europa dipende maggiormente dalla Cina, con percentuali che vanno oltre il 90% di importazione. Tuttavia a fine 2020 l’UE ha lanciato il piano European Raw Materials Alliance in un’ottica futura di una crescente indipendenza dai rifornimenti cinesi, anche perché, come riportato dall’International Energy Agency, la domanda di questi minerali potrebbe aumentare fino a 40 volte entro il 2040. Quindi, svincolarsi dal Dragone controllando ogni fase della filiera diminuirebbe anche i rischi legati al paese, come fluttuazioni dei prezzi ma anche la concorrenza sleale.

 

La Cina.

 

La Cina si trova quindi in una posizione di forza poiché è anche il primo mercato mondiale di batterie, essenziali per ogni prodotto tecnologico. Non solo, strizza l’occhio ai Talebani siccome, forse senza esserne troppo consapevoli, siedono su una miniera di minerali. L’avvicinamento all’Emiro potrebbe portare ingenti investimenti per ammodernare il paese in cambio dello sfruttamento di queste ambite risorse, aumentando così il proprio potere geopolitico in quell’area. L’Afghanistan è l’ultimo degli obiettivi di politica estera cinese, siccome sono già diversi anni che investe miliardi di dollari in Africa costruendo scuole, dighe, strade, porti, ospedali, centrali elettriche per un importo che supera i 200 miliardi di dollari, secondo quanto stabilito all’ultimo summit del Focac (Forum on China-Africa Cooperation) nel 2018.

 

Gli Stati Uniti d’America.

 

La prossimità geografica al cono del Sud America assicura solide relazioni economiche tra gli Stati Uniti ed i Paesi Latini nonostante, durante il mandato di Trump, queste abbiano preso una piega conflittuale nel tentativo di arginare l’immigrazione clandestina e il commercio di droghe. Nell’ultima decade gli investimenti statunitensi si sono attestati mediamente intorno ai 250 miliardi di dollari all’anno. Anche qua la Cina allunga i propri tentacoli con il duplice obiettivo di isolare Taiwan che ha rapporti economici con alcuni paesi del Sud America.

 

La Russia.

 

La Russia tenta di affacciarsi nuovamente in Africa con il primo storico vertice Russia-Africa tenutosi il 23 e 24 ottobre 2019 a Soči. Solo firme bilaterali e multilaterali, nessun programma d’aiuto per ora. Più che altro un tentativo di rilanciare e riallacciare rapporti che sono andati persi nei primi anni post sovietici. L’approccio di Vladimir Putin si è dimostrato meno avido di quanto non sia stato quello cinese, inoltre l’immagine non sporcata da peccati coloniali funge da catalizzatore per un probabile raddoppio di scambi commerciali entro il prossimo vertice del 2022.

 

L’estremo Oriente.

 

Il Giappone ha rilanciato i rapporti con il continente africano già nel 1993 attraverso il Ticad (Conferenza Internazionale di Tokyo sullo sviluppo africano) con 26 progetti in 20 paesi. Pace, sicurezza, sviluppo e stabilità sono alcuni degli obiettivi. Sul fronte latino, il Giappone ha iniziato l’anno 2021 con un focus particolare impegnandosi in una strategia per aumentare il livello di attenzione verso questi paesi. Il Ministro degli Esteri giapponese è andato in visita nella regione e ha dato vita a nuove iniziative multilaterali. I nipponici hanno forte necessità di diminuire la propria dipendenza dalla Cina (e ciò non può che esser visto di buon occhio dagli USA), inoltre, a causa delle proprietà geologiche dell’arcipelago, il Giappone è quasi del tutto privo di risorse naturali. Quindi la strategia energetica dipende quasi totalmente dalle importazioni, soprattutto considerando che l’incidente di Fukushima ha rivisto la strategia sul nucleare a favore di risorse alternative.

 

Conclusioni.

 

L’obiettivo della transizione ecologica per una riduzione dell’inquinamento tendente allo zero è nei suoi intenti, ma anche moralmente sacrosanto, nobile. Tuttavia questo “fuggi fuggi” di capitali che attraversano migliaia di chilometri sotto le spoglie di investimenti per il bene pubblico piuttosto che aiuti umanitari, hanno un nonché di opportunismo da parte di chi esercita il potere (inteso come potere economico, militare, ma anche culturale, di carattere demografico e geografico). Ben conosciamo la storia coloniale dell’Africa quanto il passato non troppo remoto delle dittature sudamericane tra i bombardamenti del palazzo residenziale La Moneda in Cile e i desaparecidos argentini. Ogni attività umana ha un qualche tipo di impatto locale ma può anche diventare globale. Ebbene, riflettendo sull’importanza del cobalto, delle terre rare, del litio, ma anche di altri minerali meno inflazionati come il grafene, sarà altresì necessaria una forte regolamentazione sui processi di estrazione, lavorazione, trasporto per affrontare i nuovi impatti ambientali che si presenteranno. In questo quadro si inseriscono gli Accordi di Parigi che mirano al contenimento del surriscaldamento globale e quindi ad attività umane meno invasive.

 

Non meno importante sarà la normativa da applicare per arginare la violazione dei diritti umani in tutta la filiera (è nota la situazione dei bambini che lavorano nelle miniere nella Repubblica Democratica del Congo), ma anche la corruzione. C’è anche il fattore climatico che non va sottovalutato, poiché moltissime delle zone in cui si trovano queste riserve sono soggette a forti inondazioni, come anche intense siccità. Questi cambiamenti climatici talvolta repentini sconvolgerebbero anche le fluttuazioni sui prezzi, quindi la concentrazione di tali riserve in pochi Paesi è un rischio da affrontare diversificando il più possibile gli Stati Nazione da cui importare. C’è un ulteriore pericolo: considerando questi minerali come un bene che appartiene a tutti, anche se solo alcuni pochi fortunati Stati ne hanno le riserve, c’è il rischio che si appaltino gare con contratti astronomici che cedano a privati il possesso di tali riserve, sempre in nome di finanziamenti a favore dello sviluppo statale, esautorando i Parlamenti nazionali delle facoltà legislative e ignorando completamente le volontà popolari.

 

Da qui ad alcuni anni, chi sarà in grado di influenzare maggiormente la corsa per l’approvvigionamento di questi minerali avrà un futuro prospero e potrà sbaragliare la concorrenza in ambito tecnologico, ma soprattutto avrà sempre più forza all’interno dei confini di altri paesi condizionando ed orientando gli eventi socio-politici-economici. Sicuramente sarà corsa a due tra Stati Uniti e Cina, ma ci sono buoni propositi anche per gli outsider che sono alla finestra per cercare di capire se possono aggiungersi come competitor o se meglio scegliere quale dei due sia il cavallo vincente.