Mercoledì 3 luglio, nella serata conclusiva della XII edizione di Letterature, Festival Internazionale di Roma, il suggestivo scenario della Basilica di Massenzio ha ospitato Roberto Saviano, una delle firme più importanti del giornalismo d’inchiesta italiano, nonché autore di best – seller come Gomorra e l’ultimo Zero Zero Zero. La serata, dal titolo In Medias Res, era dedicata al tema attuale e scottante dell’informazione indipendente e ad introdurre lo scrittore campano l’importante figura di Ignazio Marino, neo – sindaco della Capitale, che ha sottolineato il valore dell’arte, della letteratura e della cultura in una città come Roma. In una serata capitolina d’estate, sotto un cielo rosso sangue evocante sprazzi di romanità, non solo parole ma anche tanta musica, quella degli Almamegretta, gruppo napoletano che ha accompagnato Saviano nel suo viaggio all’interno del mondo della parola pericolosa.
L’informazione indipendente è un sogno per cui vale ancora la pena vivere e nel trattare il quale si rischia di inciampare in luoghi comuni, quindi Saviano, scrittore che incarna etica e passione civile, ha scelto di affrontare il tema dal punto di vista del meccanismo dei poteri criminali. Se in questo momento l’economia mafiosa è considerata dalle istituzioni la più forte economia del paese, continuando però a essere vista da giornali e telegiornali come un argomento marginale da trattare solo dopo la lotta alla mafia e alla camorra, di fatto la battaglia non è tanto di tipo morale contro un potere organizzato, quanto di valore concreto contro un vero e proprio capitalismo. Per comprendere un universo come quello delle organizzazioni criminali, spiega Saviano, occorre calarsi nel quotidiano, sul campo, tra strade, piazze, ristoranti e negozi: è qui che circola il denaro sporco, tra di noi che non ce ne accorgiamo perché veniamo manipolati da un certo tipo di informazione, che tende a cristallizzare la notizia, anestetizzandola, privandola di spessore e di capacità di circolazione. E’ proprio questo, invece, il fine di una notizia: il lettore deve essere messo al corrente di ciò che succede, in modo onesto e rigoroso, ma deve anche essere messo nelle condizioni di poterne parlare attraverso adeguati strumenti che lo inseriscano in medias res, nel mezzo di una realtà tangibile, non lontana da dove siamo ogni giorno. Diffondere un’informazione, infatti, significa far arretrare ombre, spezzare il silenzio, aggregare pareri: chi racconta deve farlo cercando di scavalcare la logica dell’indifferenza e dell’appiattimento. Saviano porta un esempio, quello del giornalista messicano Vladimir Antuna Garcia, per lui simbolo assoluto del giornalismo di inchiesta. Vladimir, ex tossico e giornalista specializzato in questioni di sicurezza per il quotidiano El tiempo de Durango, aveva osato alzare il velo sulle organizzazioni criminali con una serie di articoli su poliziotti corrotti e narcotrafficanti. Da qui le prime chiamate di minaccia e le prime intimidazioni, fino all’umiliazione con calci e pugni davanti alla famiglia e alla morte con un colpo di pistola. Siamo nel novembre del 2009: quello di Antuna Garcia è solo uno dei tanti casi di giornalisti morti per una causa, 56 dal 2000 in Messico, attualmente centro mondiale dell’economia del narcotraffico. Vladimir, che con le sue storie aveva ritratto la labilità della dignità umana, viene dipinto dalle forze armate come un paranoico, secondo l’usuale tecnica della diffamazione, e intorno a lui nessuna ricerca, nessuna indagine. Per lo scrittore napoletano è proprio questa, la trascuratezza, la piaga che attanaglia i grandi gruppi editoriali, mentre informare significa dare spazio alle notizie, interrogarsi, approfondire, condividere: il problema è la mancanza di un dibattito e di un confronto. Tutto ciò, sostiene Saviano, richiede coraggio, che ora più che mai significa credere ancora in quello che si vorrebbe realizzare, ma come scrisse Vincent Van Gogh al fratello Theo, “Ho perso il denaro, ho perso qualcosa, ho perso l’onore, ho perso abbastanza, ho perso il coraggio, ho perso tutto”.
Francesca Bini