Ilaria Solazzo, giornalista e blogger, ha intervistato lo scrittore Gabriele Moroni autore del libro Luigi Gualdi. Il papillon italiano – Un viaggio infernale dalla Bergamasca alla Caienna“.
La sorte di Luigi Gualdi, nativo di Vertova, non è fortunata come quella di Herni Charrière e non tornerà in Italia per scrivere un best seller. La sua è una vita violenta, sbagliata, sfortunata. Figlio di mezzadri, ha idee socialiste e si scontra con fascisti del posto; attorno l’aria si è fatta irrespirabile e il giovane decide di espatriare in Francia, da clandestino. Conosciuto André Gautier, il loro destino si compirà in quattro giorni di follia, fra il 2 e il 4 dicembre 1924. Con Gautier, Gualdi ruba, rapina, spara e la condanna che è costretto a scontare non lascia scampo: lavori forzati a vita. Il 7 aprile 1927 il forzato numero 49061 viene imbarcato con altri “bagnard” sulla nave che fa rotta per la Guyana francese; due mesi dopo, il 27 giugno, Luigi Gualdi scrive l’ultima lettera alla famiglia. Morirà il 9 giugno 1928, ucciso dalla malaria poco prima di compiere ventitré anni.
Mario Gualdi, nipote di Luigi, e Gabriele Moroni hanno ricostruito, dopo anni di ricerche negli archivi italiani e francesi, la parabola umana e giudiziaria del giovane bergamasco fino al suo tragico epilogo.
Come hai scoperto la passione per la scrittura? Come l’hai coltivata?
“Mi è sempre piaciuto scrivere, dai ‘pensierini’ delle elementari, ai temi e via a salire. Sono un grande fortunato, anzi un grande, grandissimo privilegiato perché ho fatto da grande quello che desideravo fare da bambino: il giornalista”.
Cosa ti ha spinto ad intraprendere la carriera di scrittore?
“Quella della scrittura non è mai stata una carriera per me. E’ stata una professione e insieme una passione. E lo è ancora”.
Com’è cambiata la tua vita scrivendo?
“Vita, scrittura e quindi lavoro hanno sempre camminato di pari passi, anzi direi che sono stati una sola coincidenza, una sola cosa”.
Hai delle abitudini particolari durante la scrittura?
“Scrivo, parlando di libri, quando mi sento di farlo. Non ho abitudini né orari”.
Mentre scrivevi il tuo libro avevi già in mente tutta la storia?
“Conoscevo già, nelle sua tappe principali, la vita di Luigi Gualdi, il giovane bergamasco deportato e andato a morire alla Caienna. L’ho approfondita nella stesura del libro in base ai documenti trovati in Francia dal mio coautore, Mario Gualdi, nipote di Luigi, e da suo figlio Fabio, affermato avvocato di Como”.
Qual è il libro più bello che sia mai stato scritto fino ad oggi?
“Sono particolarmente affezionato ai libri che ho dedicato a Fausto Coppi. Appartengo alla generazione che per ragioni anagrafiche non ha conosciuto questa straordinaria figura, ne stata, per così dire, soltanto sfiorata. Per me è stato sufficiente”.
Che sensazione si prova dopo aver scritto un libro?
“La sensazione che provo una volta terminato un libro è quella di avere fatto qualcosa che rimarrà, almeno per un po’ di tempo, qualcosa di più duraturo della “sabbia” di un quotidiano”.
Sei già in attivo con la stesura di un nuovo manoscritto?
“Sto ultimando in libro su psicosette e gruppi manipolatori Un libro fatto soprattutto di testimonianze, di “voci”. Lo definirei un libro “parlato””.
Quale messaggio hai voluto lanciare con il libro “Il papillon italiano”?
“Per carità, nessun messaggio. Un grande regista, Roberto Rossellini, diceva: “I messaggi li lascio portare”. Oggi, poi, viviamo in tempi di cellulari, internet, posta elettronica e tutto il patrimonio tecnologico che sappiamo”.
Come mai, a tuo avviso, tanti di noi affidano la propria vita al destino?
“Non ho mai creduto al destino, ma solo a concorsi di coincidenze, anche strani, a volte incredibili”.
Se tu potessi fare un regalo all’umanità per cosa opteresti?
“Vorrei regalare, per prime alle persone che ho nel cuore e anche a me, il bene prezioso della serenità”.