Continua a mietere successi l’ultimo libro dello scrittore marinese Marco Onofrio: “Roma vince sempre. Scrittori Personaggi Storie Atmosfere” (Edilazio). Una raccolta di 33 micro-saggi dedicati alla bellezza eterna di Roma e del suo territorio, patrimonio mondiale della cultura e riferimento ineludibile per qualunque prospettiva umanistica sulla poco incoraggiante realtà contemporanea. Siamo andati a scambiare due chiacchiere con l’autore, già impegnato sulla sua prossima fatica letteraria.
Nel suo recente volume “Roma vince sempre. Scrittori Personaggi Storie Atmosfere”, dedicato com’è evidente alle interpretazioni culturali della Città Eterna, c’è spazio anche per i Castelli Romani?
“Sì. Fra i trentaquattro articoli, o per meglio dire microsaggi, che compongono “Roma vince sempre” ce n’è uno dedicato ai “Castelli Romani nella penna di Henry James”. Attraverso le avvincenti descrizioni dello scrittore americano, spesso improntate all’estetica del pittoresco ma non aliene da osservazioni realistiche al limite della spietatezza, si può evincere il paesaggio naturalistico e l’orizzonte socioeconomico dei Castelli Romani agli inizi degli anni ’70 dell’Ottocento, al tempo cioè del suo viaggio nei luoghi rappresentati. A una natura ancora incontaminata, dominata dai boschi di querce e lecci, faceva da contraltare la miseria più nera, il fetore delle case e la spoetizzante desolazione dei paesi. Splendida la descrizione che James fa del lago di Albano, dal “placido color lavagna”.
Nell’“egemonia” culturale di Roma, e non solo, i Castelli che ruolo ricoprono?
“Un ruolo importante, a livello storico, che li vede comprimari di quell’egemonia. Voglio dire che i Castelli non sono una mera appendice di Roma, ma luoghi con una loro precisa e preziosa identità: basti pensare alle peculiarità folkloristiche enogastronomiche e dialettali che contraddistinguono come un “unicum” ciascuno dei 14 Castelli, pur nella “koinè” di afferenza romano-laziale che è al fondo del loro “tessuto”. Non solo vino, ciambelle al mosto e porchetta, nella cifra banalizzante del luogo comune; ma soprattutto natura, boschi, laghi, colline, paesi, monumenti, opere d’arte e reperti archeologici, animano una “regione dello spirito” dove batte ancora un cuore antico. I castellani dovrebbero essere più orgogliosi e consapevoli del territorio in cui hanno la fortuna di vivere!”
Lei si sente più castellano o più romano?
“Sono nato a Roma ma ho trascorso ormai il maggior tempo della mia vita ai Castelli, avendo vissuto a Grottaferrata dal 1988 e, da dodici anni, a Marino. Diciamo che mi sento un romano “naturalizzato” castellano”.
Si è limitato a Henry James o ha analizzato anche il rapporto di altri scrittori con i Castelli?
“Non solo James. Sto infatti raccogliendo le testimonianze letterarie di altri celebri scrittori, italiani e stranieri, in tutto finora una trentina. È un tema che mi affascina molto, si scoprono descrizioni e considerazioni da mettere a frutto come autentici tesori. Ho cominciato a scriverci un saggio, una sorta di guida letteraria dei Castelli Romani, che conto di pubblicare entro i primi mesi del 2019”.
Esiste un “gap” culturale fra Roma e i Castelli Romani?
“Roma è indubbiamente Roma: a livello culturale rappresenta una vetta quasi inarrivabile, di portata nazionale e internazionale. Ma, come ho già detto, i Castelli Romani sono parte attiva e integrante della storia di Roma. Il “gap”, se esiste, non è tanto a livello storico, quanto piuttosto a livello socioculturale. A parte l’offerta, che in provincia è giocoforza minore rispetto alla metropoli, parlo proprio dell’atteggiamento psicologico dei castellani verso il prodotto culturale. C’è una sorta di “diffidenza” di fondo che rende più difficile sensibilizzare il pubblico agli eventi, e quindi organizzarli con esiti soddisfacenti. A Roma la gente è più ricettiva e abituata, si fa meno fatica”.
La conosciamo come autore molto prolifico. Che cosa bolle in pentola?
“È imminente l’uscita del mio nuovo libro, “Nuvole strane”, per i tipi di Ensemble Edizioni. È una raccolta di pensieri e aforismi a cui stavo lavorando da oltre vent’anni”.