Max Collini autore degli Offlaga Disco Pax in tour con Max Collini legge l’indie

Per Meta Magazine quello di Max Collini è un ritorno, molto gradito. Giancarlo Montoni intervista nuovamente l'autore degli Offlaga Disco Pax e di Spartiti, ora in tour con il nuovo progetto "Max Collini legge l'indie".

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Per Meta Magazine quello di Max Collini è un ritorno, molto gradito. Alcuni di voi ricorderanno l’intervista di qualche anno fa a lui ed Enrico Fontanelli in cui abbiamo ripercorso la storia degli Offlaga Disco Pax. Per chi volesse il link è ancora disponibile nei nostri archivi. Lo ritroviamo con il nuovo progetto e con il tour “Max Collini legge l’indie”, che ha visto tra le molte date anche quella di Roma al Monk. Un progetto diverso dai precedenti lavori, decisamente molto interessante, di cui abbiamo parlato insieme in maniera approfondita. Leggerete le parole di un artista originale e capace che oltre a essere un grande appassionato di musica indie è anche uno dei massimi esperti in materia.
Introduciamo la nostra conversazione partendo da una definizione, che è quella di indie. Sicuramente esiste l’indie, perché ci sono moltissimi “indiesfigati” che lo seguono con costanza e passione.
“E io ne sono degno rappresentante, dell’indiesfiga intendo. Sostanzialmente viene chiamata indie questa nuova scena enorme che riempie i palazzetti semplicemente perché gli artisti di questa scena vengono dal basso e non sono figli dello scouting delle case discografiche e dei programmi televisivi. I talent hanno un po’ caratterizzato le scelte dell’industria discografica degli ultimi anni, ma noi ci siamo trovati una nuova scena molto grande di artisti italiani che invece vengono da piccolissime etichette e dalla auto produzione o quasi e che in pochissimo tempo hanno scalato le classifiche. I Subsonica non è che hanno riempito i palazzetti al primo concerto ai loro tempi, ci hanno messo degli anni ad arrivare alle masse e centinaia di concerti. Faccio questo esempio perché riguarda gli anni novanta ed è particolarmente significativo, importante, conosciuto da tutti. Calcutta invece è arrivato ai palazzetti in quattro anni. Lo Stato Sociale in cinque o sei. Le carriere sono diventate velocissime grazie anche a internet, a un nuovo modo di fruire la musica e a un nuovo tipo di ascoltatori. Tutti questi personaggi arrivano a un successo importante e popolare da micro etichette, da un percorso totalmente auto riferito, privo di capitali, con poche risorse economiche, esclusivamente dal basso e con una scalata verso l’alto che invece è diventata interessantissima, adesso, per l’industria. Un’industria che in qualche modo è intervenuta a giochi fatti e adesso fa la distribuzione, segue la parte del booking ecc. Sostanzialmente gli artisti di questo decennio appena concluso non si sono affermati attraverso una scelta imposta. La cosa interessante è la democratizzazione di questa scelta, perché è il pubblico che se li è scelti e se li è andati a cercare. Non sono stati i network o le case discografiche, ma sono ugualmente diventate importanti per una nuova generazione di fruitori della musica. Per questo che si usa la parola “indie”, anche se dal punto di vista della proposta non c’è molta sperimentazione, che è quella che caratterizzava l’indie degli anni zero. C’è invece un nuovo pop che in alcuni casi ha sostituito nel gusto dei più giovani il pop che c’era prima”;

Per parlare di Max Collini legge l’indie, è doveroso fare alcuni passi indietro. Siamo agli Offlaga Disco Pax e al modello artistico basato sulla fusione tra narrazione e sezione musicale molto importante e rilevante.
“Questa è stata la scelta stilistica degli Offlaga Disco Pax da sempre. Gli Offlaga sono un gruppo che ha fatto della narrazione, del testo raccontato, la sua cifra stilistica fin dall’origine. La cosa interessante è stata unire questa narrazioni, abbastanza identitarie e con un sottofondo ideologico persistente e una caratterizzazione legata al territorio assieme a un immaginario dal punto di vista musicale che invece evoca questioni molto più internazionali. Certamente i riferimenti musicali di Enrico Fontanelli e Daniele Carretti non avevano come riferimento musicale il ballo liscio, che è quello che invece potrebbe identificare alcune delle mie storie (ride, ridiamo…). L’idea di inserire in un contesto narrativo in parte politicizzato e storico riferimenti musicali internazionali, molto precisi, anch’essi molto identitari, anche se meno facili da individuare ha dato come risultato finale un matrimonio che ha funzionato molto di più di quello che potessimo aspettarci. Nel senso che non era affatto scontato che questa sommatoria di caratteristiche potesse avere un qualche appeal o fosse interessante. In realtà è diventata una cifra che invece ha coinvolto migliaia e migliaia di persone, le quali si sono riconosciute in questo contesto. C’è un grandissimo affetto nei confronti degli Offlaga Disco Pax per la loro storia, per Enrico Fontanelli, per la tragedia che è accaduta, al punto che adesso che abbiamo pubblicato questo volume, l’anno scorso, con la raccolta di tutte le sue grafiche e tutta la parte iconografica che Enrico ha realizzato per gli Offlaga nel corso di dieci anni e abbiamo fatto del mostre legate a questo materiale, le mostre sono piene di gente. Ho fatto visite guidate con decine e decine di persone per non dire centinaia, a testimonianza di quanto sia stato importante per tante persone il nostro quel percorso. Il gruppo non esiste più da sei anni, ma continuano a riconoscersi, a cercarci, a venire a vedere le mostre, a venire a vedere il festival che facciamo dedicato a Enrico tutti gli anni. C’è un legame molto forte tra chi ha seguito quella storia e i contenuti del gruppo”;

Come negli Offlaga, anche in Spartiti troviamo l’attenzione verso la storia nella sua interezza. In Max Collini legge l’indie fai un processo diverso che mette in evidenza la parola.
 
“In “Spartiti”, il mio nuovo gruppo con Jukka Reverberi di Giardini di Mirò alle musiche, la caratteristica di raccontare delle storie me la sono tenuta molto volentieri. A volte molto scarne, a volte molto minimali, a volte più complesse. In “Max Collini legge l’indie” invece affronto l’indie che non mi riguarda direttamente, quello degli anni dieci di cui parlavamo prima. Ho provato a fare un’altra cosa dal punto di vista artistico, usando le mie caratteristiche: svuotare tutto ciò che c’è attorno un brano musicale, magari di grande successo tra le nuove generazioni, e portarlo all’essenza del suo contenuto, sfruttando un artificio retorico per renderlo ironico, divertente e in cui rimane la parola come unico messaggio. E’ ovvio che le canzoni non vengono scritte con questo intento, quando si scrive una canzone è la canzone la cosa principale di cui occuparsi, non è necessario che di per se abbia un senso compiuto o sia esplicita o sia un racconto come le cose che faccio io. E’ necessario che funzioni e molte di queste canzoni hanno funzionato tantissimo. Parliamo di milioni di visualizzazioni su Youtube, quindi parliamo di un grandissimo pubblico potenziale. Sto parlando dei personaggi più importanti di quello che è chiamato l’indie italiano: Gazzelle, Calcutta, I Cani, Brunori, Lo Stato Sociale, Coez. Nel mio spettacolo di quei brani, svuotati di tutto, rimane solo il testo recitato da me. Alle volte quel testo diventa talmente forte che quasi sopravanza l’importanza del brano in sé, della canzone in sé. A volte svuotando tutto e lasciando solo la parola si ottiene un linguaggio che forse nella canzone funziona, ma da solo non regge. L’autore potrebbe dire; “Ma io volevo fare una canzone, non un pezzo teatrale”, ma alla fine il contenuto rimane nudo e a volte è fortissimo e diventa molto potente, mentre a volte presta il fianco a qualche evidente mancanza di spessore, ma io semplicemente recito il testo e quindi quello che resta di esso lo giudicherà il pubblico. Pubblico che a questi spettacoli si diverte moltissimo, a volte perché scopre una forza in canzoni che ha ascoltato ma non approfondito, a volte magari perché scopre che della canzone che ha canticchiato un sacco di volte, tolto l’insieme, resta poco e magari si diverte a sentire cosa rimane quando non c’è più niente se non le parole”;

Muovendo da quella che secondo te è la differenza sostanziale tra l’indie degli anni zero e quello degli anni dieci, cioè l’attitudine alle tematiche sociali del primo e la tendenza, intimista, introspettiva del secondo, hai individuato in Calcutta la figura centrale dell’ Indie contemporaneo. Ci spieghi perché?
“Mi sembra la figura più centrale, più importante, quella che ha influenzato di più tutta una serie di nuovi cantautori, intanto perché mi appare molto “vero” dal punto di vista umano e soprattutto perché ha un suo linguaggio, che è un linguaggio diverso dal solito e molto personale. Non soltanto musicale, ma soprattutto dal punto di vista della lingua. Anche in testi nati per essere canzoni credo ci sia una sorta di verità e nel suo caso non ci sono molti filtri. E’ un bravissimo scrittore di canzoni con un modo di esprimersi che è diventato universale per chi lo segue, ma diverso da altri linguaggi e che è molto difficile imitare, proprio perché lui è davvero così mentre gli epigoni, tendenzialmente, un po’ si vede che ci stanno provando. Mi piace l’uso che fa delle parole, parole che normalmente non verrebbero usate nelle canzoni. Si vede che c’è dell’intuizione, del gusto. Non c’e in lui una descrizione della società, ma non è obbligatorio che un cantautore lo faccia, ma questo non toglie che sia molto bravo a scrivere e proprio perché è molto potente. Credo che arrivi e arriva secondo me anche la parte sociale che lui non descrive direttamente. Quella legata al disagio, legata a tutta una serie di cose che sono evidenti nel carattere di questo cantautore, molto schivo e molto particolare”;
L’altro personaggio che citi spesso, enfatizzandone la rilevanza è Tommaso Paradiso. Hai parlato delle sue capacità di scrittura, di tirare fuori delle hit. A tal proposito vorrei proporti un confronto con un artista a cavallo tra gli anni zero e gli anni dieci che è Vasco Brondi. Uno che a livello di scrittura e di pezzi importanti ha qualcosa da dire. Vorrei partire da qui per capire come siamo passati dalla sperimentazione al pop.
“In questo senso Vasco Brondi è invece la figura centrale degli anni zero. Quel modo di affrontate il testo, la destrutturazione della forma canzone, la parte urlata. Ha fatto quattro dischi molto diversi fra loro, soprattutto gli ultimi due, assai distanti dal primo. In “Canzoni da spiaggia deturpata” c’è l’indie originariamente inteso, sperimentale, l’uso di linguaggi diversi, la scarnificazione del suono, un’identità molto forte e certamente non pop. Poi si è cimentato anche con una forma canzone più tradizionale negli ultimi anni, facendo comunque sempre cose laterali, non scontate, con dei contenuti molto importanti. Per questo non è la figura centrale degli anni dieci, perché negli anni dieci quei contenuti non ci sono più e lui è un’eccezione. L’unico altro che mette contenuti forti di questo tipo, più sociale, è legato anch’esso alla generazione precedente ed è Brunori, oltre naturalmente a Lo stato sociale. Generalmente i contenuti sociali, le questioni che non riguardano soltanto l’io e le questioni d’amore sono molto rari in questa scena nuova e, non a caso, quelli che invece ne hanno hanno anche un legame forte con la scena precedente. Per quanto riguarda Tommaso Paradiso per me c’è un equivoco di fondo: Tommaso Paradiso è diventato per scelta, molto lungimirante dal suo punto di vista, un autore pop a tutti gli effetti. Quando da autore scrivi tu con quei riferimenti le canzoni del disco di Carboni e Venditti, quando tu, da autore, scrivi per due che dovrebbero essere i tuoi numi tutelari, c’è un cortocircuito esorbitante in cui l’autore pop del momento scrive canzoni pop per due giganti della scena italiana dei decenni precedenti, i quali probabilmente hanno bisogno di svecchiare il loro stile e si rivolgono all’autore pop che più sentono affine a loro della nuova generazione. Traduco: “sono Venditti, voglio fare un disco nuovo che suoni moderno e allora collaboro con quello che oggi dicono tutti essere un nuovo Venditti moderno”. Surreale, ma il risultato ha funzionato ugualmente. Mi sembra che il mondo di Calcutta e il mondo di Tommaso Paradiso abbiano riferimenti piuttosto diversi. Anche come personaggi, come stile, culturalmente mi sembrano diversi. Tommaso Paradiso è laureato in filosofia, è un uomo molto consapevole di quello che fa, è un autore che maneggia la comunicazione in un certo modo. Mi sembra che Calcutta da questo punto di vista sia ai suoi antipodi: non ama apparire, è schivo e vedo in questo senso differenze colossali. Poi a loro modo entrambi sono importantissimi dal punto di vista del contenuto e dell’approccio alla forma canzone, ma con un istinto diverso. A Tommaso Paradiso l’indie tradizionalmente inteso stava molto stretto, aveva grandi ambizioni e dopo i primi due dischi, praticamente inosservati nella scena nazionale, ha completamente abbandonato lo stile e ne ha abbracciato un altro. E’ diventato, come dire, un nuovo Luca Carboni, un nuovo Dalla, con alcuni riferimenti molto chiari, quindi un nuovo cantautore con riferimenti culturalmente molto definiti. Se il tuo immaginario è “Sapore di Mare”, il film intendo, è chiaro che il riferimento delle tue canzoni sarà di quel tipo. Mi sembra che in Calcutta ci sia un immaginario molto diverso. Uno dei più importanti autori pop in questo momento in Italia è Alessandro Raina, che negli anni zero è stato il cantante dei Giardini di Mirò e che ha fatto un pezzo di strada in prima persona con gli Amor Fou e che poi ha abbandonato per diventare autore per altri, molto considerato e che ha scritto canzoni ultrapop per artisti ultrapop (Malika Ayane oppure Annalisa, per esempio), canzoni in cui le esperienze precedenti, molto diverse, sono andate al servizio di esigenze che negli anni zero non erano prevedibili. E’ curioso che uno come lui abbia scritto alcune hit di Sanremo, per dire”;

Veniamo al tour di Max Collini legge l’indie. Tu lo sai che al tuo concerto a Roma c’era Matteo Richetti, vero?
“Si me lo hanno detto. In un’altra occasione c’era Matteo Orfini. Fai te!”;
Tremo al pensiero di chi ti capiterà al prossimo giro…
“Mi dicono che Richetti si sia divertito moltissimo e che rideva della grossa”;
Confermo era in piedi, vicino a me, che invece ero seduto con la mia birra. Tornando alla data di Roma…
“Lo spettacolo lo hai visto. Ti sei fatto un’idea da solo, non c’è bisogno che te lo spieghi. Mi hai anche sentito cantare. Cosa vuoi di più? (ridiamo)”;
Ho anche comprato la Shopper degli Offlaga. Ho fatto un sacco di cose quella sera.
“Bravissimo, ricordo che ci siamo visti (ridiamo ancora)”;
Una delle cose che funziona di più negli spettacoli di Max Collini legge l’indie è il fatto che il pubblico sia seduto.
“E’ uno spettacolo tipo stand up comedy. Come tale, secondo me, è più fruibile da seduti che in piedi. E’ uno spettacolo sostanzialmente teatrale, dove di norma si sta seduti appunto”;
Stare seduti facilita la focalizzazione dell’attenzione sui testi, Mi ha colpito molto il silenzio, la concentrazione nel pubblico. Non che non mi aspettassi l’attenzione delle persone verso quello che stavi facendo, ma si percepiva chiaramente l’interesse. Silenzio, nessuna distrazione. Tutti composti.
“Non volava una mosca. Tra l’altro lì non c’era solo il mio pubblico, c’era anche il pubblico venuto per sentire Edda e quindi non è detto che fosse interessato a quello che stavo facendo. Anche loro hanno seguito tutto lo spettacolo e si sono divertiti, magari senza conoscere nulla di quello che stavo recitando o leggendo. Immagino che uno che segua Edda potrebbe anche non saperne nulla di questa scena nuova perché magari è adulto, non compra questi dischi, non ascolta le radio commerciali. Però ho visto che si è divertito anche chi non conosceva questi brani. Molti mi chiedono dopo lo spettacolo notizie di Dutch Nazari perché il testo che leggo (la canzone si intitola “Proemio”) è molto interessante anche senza la musica. E’ un testo che colpisce per cui se ne cogli lo spirito e l’intelligenza ne vuoi sapere di più, per cui spesso mi chiedono di lui. Faccio quindi anche un po’ di divulgazione di autori meno noti, insomma. Dutch è bravo, ma ancora poco conosciuto. In questo momento ha un seguito che non è mainstream e non ha questa notorietà perché è uno che dice cose complesse, non dice cose da rapper, trapper, tutte autoriferite. Un raro caso di questa nuova generazione perché parla di società, non solo di se stesso, e lo fa molto molto bene. Lo trovo il più interessante di questa nuova generazione per l’approccio e per i contenuti”;
Uno dei testi del tuo spettacolo è Rolls Royce di Achille Lauro. Nelle tue performance giochi a far capire o non capire quali sono gli artisti che apprezzi. Cosa pensi del suo lavoro?
“Mi sembra un artista molto particolare, considerando che ha fatto diversi dischi e ha solo ventisette, ventotto anni e ha già abbandonato la scena da cui proviene. Si è trasformato in pochissimo tempo da trapper in un artista rock con un riferimento sonoro al rock classico italiano, Vasco Rossi, quella roba li. Non mi piace molto quello che fa, ma non è a me e alla mia generazione che deve piacere. Mi sembra che abbia un profilo interessante che merita di essere seguito a prescindere dalla sua popolarità. Quella scena a Sanremo di lui con Morgan al pianoforte è la cosa più rock che ho visto là da anni. Il brano è ossessivo ma ha un paio di frasi di contenuto vero. Come spesso accade, in una canzone che funziona le parole sono poche e servono a ottenere il risultato: “Non sono stato me stesso mai” è una frase molto forte, funziona, la trovo bellissima e disturbante insieme”;
Cosa stai ascoltando in questo momento?
“Non sono più un ascoltatore compulsivo come quando ero giovane, quindi ascolto pochi dischi, poche cose. Non usufruisco di applicazioni moderne. Al limite Youtube e certamente non Spotify, che non uso né sul cellulare né sul pc. Preferisco cercare la musica che subirla e a casa ho centinaia di dischi e vinili. Ascolto quello che ho e sono uno che ancora ogni tanto un disco lo compra, mi piace il supporto fisico e credo sia una questione generazionale. Negli ultimi due o tre anni pensando ai dischi che ho veramente amato e consumato l’unico che mi viene in mente è il primo di Motta. Di quel disco recito un testo nello spettacolo, che è “Del tempo che passa la felicità”. Sto parlando de “La fine dei vent’ anni”, il primo album di Motta come solista. Produzione magnifica di un ragazzo che ha tante cose da dire e lo fa anche dal punto di vista musicale in modo non scontato e molto interessante anche dal punto di vista vocale. Io sono rimasto sbalordito quando l’ho ascoltato. Tra l’altro avevo seguito molto poco tutta la vicenda dei Criminal Jokers, che ascoltati a posteriori mi sembrano poca cosa (con rispetto parlando) rispetto a quello che ha fatto dopo come solista. Mi sembra un salto di qualità e scrittura molto forte, figlio di un gran talento. Bello che sia stato riconosciuto. Quel primo album, “La fine dei vent’anni”, è uscito per Woodworm, più o meno contemporaneamente ad “Austerità” di Spartiti, anch’esso pubblicato da Woodworm nel 2016, e ho visto passare Motta in pochi mesi da ottanta – cento presenze ai concerti, a cinquecento, seicento, mille ed è stata una crescita vorticosa. Ammetto che sono un ascoltatore meno attento di prima e l’istinto mi porta ad ascoltare cose passate più che cose nuove. La fortuna che ho lavorando con Jukka Reverberi dei Giardini di Mirò, collaborazione che spero riparta nei prossimi mesi, è che invece Jukka continua ad avere una curiosità infinita dal punto di vista musicale. Io alla fine sono uno che scrive testi e il fatto che ascolti cose moderne è una cosa che non è poi così centrale nella mia produzione artistica visto che sono una voce narrante e scrivo storie. E’ importante per me poter collaborare con un musicista come Jukka Reverberi, che ancora oggi è un ascoltatore molto attento a quello che si muove nell’underground, internazionale e non solo italiano”;
Hai citato Spotify. Un modo nuovo di relazionarsi con i contenuti musicali, sempre a disposizione, gratuitamente. Ho letto il libro Different Times, la biografia dei Giardini di Mirò, e nei capitoli che parlano degli esordi si parla del mondo prima di internet, o di quello dei rumorosissimi modem, dove non solo la musica dovevi andartela a cercare, ma dove anche la sponsorizzazione del proprio lavoro era un’opera faticosa. Jukka Reverberi viene da quel mondo lì. L’accessibilità del prodotto non non vuol dire però successo garantito…
“Il rumore di fondo è altissimo e farsi conoscere diventa comunque complicato. Ti possono aiutare questi canali, perché facendo qualche investimento puoi avere un ritorno. Io credo che il pubblico sia il giudice finale, perché ti possono spingere quanto vuoi, ma se poi non piaci finisce lì. Puoi fare tutta la sponsorizzazione che vuoi suoi social, ma se alle gente non interessa non vai molto lontano, oggi ancora più di prima. Come sempre accade quando puoi avere le cose gratuitamente il rischio è che se ne perda il valore reale. Considerato che puoi avere gratis tutta la musica che ti serve e anche quella che non ti serve, comprare un disco, magari di un artista indipendente con pochi ascolti, è un atto politico, perché è evidente che chi lo compra non fa solo un gesto verso il suo desiderio di possedere degli oggetti fisici, vinile, cd, queste cose un po’ arcaiche, ma perché sa che facendo questo gesto aiuta un artista che ama a proseguire il suo percorso. E’ evidente che senza consenso, senza un minimo di interesse da parte del pubblico il proprio lavoro rischia di finire nel dimenticatoio, per questo credo che da molto tempo ormai l’acquisto del supporto fisico sia un atto politico. Tutto sommato preferisco che uno compri un disco piuttosto che una maglietta, compresa la maglietta che ho fatto di recente con la scritta “Sono stato indie prima di te”. La maglietta illustra la filosofia dello spettacolo, che è ironica, divertita, leggera, pop. La cosa più leggera e pop che abbia mai fatto e infatti è anche la cosa in cui mi sono più divertito in assoluto, ma tra un disco e una maglietta mi sembra più significativa la seconda opzione. Ai miei banchetti post spettacolo ci sono anche i dischi che ho fatto, per fortuna”;
L’acquisto di un disco è un atto politico perché puoi anche decidere di non farlo.
“Una volta se volevi ascoltare qualcosa dovevi per forza comprare il disco, perché la radio le cose più importanti magari le passava anche, ma quando pareva alla radio, non quando pareva a te, mentre oggi quando vuoi ascoltare qualcosa accendi in tuo computer, accendi il tuo device e ti ascolti gratuitamente quello che ti pare. Non hai l’obbligo di acquistare la musica e non interessa più tanto neanche alle case discografiche perché poi monetizzano coi diritti d’autore, le visualizzazioni, lo streaming, con la distribuzione digitale, con i live. Il modello di business che prima era incentrato prevalentemente sui dischi ora si è spostato su altre forme di fruizione della cosa: diritti televisivi, diritti d’autore, concerti dal vivo. Il disco fisico non è più centrale nel business. Il fatto che tu ugualmente compri un disco diventa appunto un atto politico, in particolare se lo fai in favore degli artisti meno conosciuti”;
Andando oltre il tuo ultimo progetto, direi che ci aspettiamo un nuovo disco di Spartiti. Non solo, se uno va in libreria e trova il libro di favole di Dente, non può che chiedersi quando arriverà un libro di Max Collini.
“E’ stato sorprendente che Dente quando ha scritto un libro abbia scritto un libro di favole. Veramente sorprendente. Dente, tra l’ altro, ha anticipato notevolmente i tempi rispetto all’esplosione del nuovo cantautorato ed è stato un precursore della scena”;
Dunque? Libro si o libro no?
“Sono dieci anni che ho in testa l’idea per un romanzo. Ho un problema: sono uno scrittore di racconti pigro che tendenzialmente fatica a superare la seconda pagina e quindi ho anche, da questa intervista non si sarebbe detto, il dono della sintesi. Il problema è che quando è ora di scrivere tendo a essere scarno e veloce e a sfogare la storia in poche righe. La mia narrazione è fatta cosi. Il testo più lungo degli Offlaga è di due pagine. Il testo più lungo di Spartiti di tre. E’ quello il mio campo di gioco, temo. Ho avuto l’idea per un romanzo e so che questo corrisponderebbe a un lavoro di molti mesi e io sono, appunto, lento e pigro. Devo anche fare anche delle ricerche storiche per poterlo costruire, perché il periodo in cui lo voglio ambientare è molto definito, ma mi servono dei riferimenti. Devo andare a cercare ad esempio vecchi giornali per poterlo fare in modo corretto. So che dovrei farlo e che ho l’eta giusta per farlo, perché poi diventerei troppo vecchio, ma rinvio costantemente il cantiere. Più semplice, secondo me, sarà fare il disco nuovo di Spartiti. Jukka ha finito il tour dei Giardini di Mirò, io tra pochi mesi chiudo il tour di “Max Collini legge l’indie” e sto già immaginando dei brani nuovi che credo usciranno l’anno prossimo, perché poi in realtà siamo bravi a chiacchierare io e Jukka, ma siamo anche sempre quelli del “Ma sì, non c’è fretta, poi lo facciamo…”. L’album di Spartiti è del 2016, l’EP è del 2017, quindi è passato molto tempo e sarebbe ora di ricominciare a lavorare sul serio. Siccome la priorità è il disco nuovo di Spartiti immagino che per un romanzo dovrete aspettare ancora parecchio…”.
Max Collini legge l’indie

prossime date
Venerdì 7 Febbraio:  TORINO – CAP 10100
Venerdì 21 Febbraio: PERUGIA – PostModernissimo
Sabato 22 Febbraio:  FIRENZE – BUH!
Venerdì 13 Marzo:  LUGAGNANO (VR) – Emporio Malkovich
Mercoledì 25 Marzo:  MILANO – Teatro Filodrammatici
Giovedì 9 Aprile:  REGGIO EMILIA – Arci Rondò

Max Collini legge l’indie (fotografia di Guido Mencari)