Mediterraneo, mare nostrum dei teatri…

Il Museo dell’Ara Pacis porta in scena gli “Autori, attori e pubblico nell’antica Roma” per narrare una storia millenaria che inizia con le maschere greche

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Dalla Grecia di Pericle alla Roma imperiale; dai cortei dionisiaci alle immagini delle messinscene dal teatro greco di Siracusa. Tutto, attraverso le maschere: espressioni cultuali, le cui parole erano “vere” perché pronunciate in un luogo sacro.
Al Museo dell’Ara Pacis, si alza il sipario su: “Teatro. Autori, attori e pubblico nell’Antica Roma”, una mostra singolare, dedicata a una delle più importanti istituzioni culturali della società. Per continuare nel solco di esposizioni di antichità indirizzate al moderno pubblico internazionale.
Fino al 2 novembre 2024, un progetto con oltre 240 opere, frutto di importanti collaborazioni (con il Dipartimento di Lettere e Culture Moderne-Università “Sapienza” di Roma e l’Istituto Nazionale del Dramma Antico-INDA), con ben 25 prestatori, che non solo consta dell’offerta di autentiche rarità, ma pure del coinvolgimento diretto dello spettatore in un racconto che parte dalle radici elleniche e arriva alla Capitale; ripristina l’origine religiosa del “ludus” e narra come, dai primi palcoscenici in legno, si è giunti ai luoghi che potevano ospitare migliaia di spettatori. Perché se in principio c’erano il foro e il tempio, subito dopo arrivarono i teatri a caratterizzare la forma urbis dell’Impero: architetture senza tempo che ancora oggi campeggiano lungo piazze e strade, riportandoci costantemente indietro nel tempo.
Al Museo sul Lungotevere si compie un viaggio affascinante attraverso una materia stupefacente e ancora tutta da approfondire, grazie anche a un allestimento evocativo, che incita il visitatore a addentrarsi nell’universo degli spettacoli.
La varietà dei reperti con le narrazioni delle vite degli attori (la loro popolarità, ma soprattutto le difficoltà, visto che, chi esercitava quel mestiere, era marchiato come “infamus”), ma soprattutto gli spazi a loro dedicati, sparsi ovunque nel Mediterraneo: un vero mare di teatri, non tutti ancora venuti alla luce.
Dietro le quinte e oltre la scena; nei camerini e sugli spalti con ricostruzioni “vive”: ogni sezione, infatti, è arricchita da istallazioni multimediali, tra riprese aeree, videomapping e postazioni interattive. Impossibile sottacere la riproduzione del teatro di Pompeo in Campo Marzio (oggi, Campo de’ Fiori), in cui si sovrappone l’area moderna a quella antica e la performance registrata di una compagnia campana, che ha indossato le maschere per ridare voce ai personaggi di Aristofane, Plauto e sodali, dimostrando che amplificavano la mimèsi, e che, benché a prima vista rigide, esse si rivelino, a un’osservazione più attenta, più espressive di quanto si immagini! Ecco spiegato perché, in greco, con “Prosopon” s’indicava sia il volto che la maschera. Indossarne una non significa assumere un’identità differente dalla propria, perché non esiste una dicotomia: l’uno sfocia nell’altra e viceversa.
La mostra capitolina, presentata in ordine cronologico, aiuta a rivivere le atmosfere che si respiravano tra le gradinate dei grandi teatri romani, divise per ordini, come nelle gerarchie sociali. Un racconto che parte dalle radici greche, magnogreche, etrusche e italiche e si snoda lungo sette sezioni, per un arco temporale importante (Genesi; Radici italiche e magnogreche; la commedia a Roma; la tragedia a Roma; i protagonisti e la musica; l’architettura e l’incontro tra antico e moderno, ovvero: la traduzione del “Miles gloriosus” di Pier Paolo Pasolini, in scena nel ’63, con il titolo: “Il Vantone”), senza disdegnare la danza e la musica, con rari strumenti musicali originali – lire, tibie, cetre e sistri -, molti dei quali riprodotti in copia da Francesco Landucci (musicista e artigiano toscano), per consentirne il tocco e l’ascolto.
Le curatrici, Orietta Rossini e Lucia Spagnuolo, hanno selezionato: miniature della tragedia e commedia greca (provenienti da Lipari e da Tarquinia); statuine di attori, danzatori e giocolieri (dalla Magna Grecia); vasi con la serie raffigurante le commedie “fliaciche”; un “campionario” di modelli di maschere mai esposti da Pompei; i grandi affreschi parietali di un “camerino” da Nemi; una serie di 12 gemme di epoca romana a soggetto teatrale; il ritratto di Marcello e la maschera in bronzo di Papposileno, dalla collezione della Fondazione Sorgente Group. Menzione speciale per il “Vaso di Pronomos”, dal MANN, che grandeggia a inizio percorso.
Il teatro romano svolse un ruolo primario nella vita e nell’identità culturale della città: non si trattò di mero intrattenimento, ma di uno strumento di riflessione critica e coesione sociale. Le pièce (spesso parti di Festival religiosi o di celebrazioni pubbliche) erano momenti di condivisione; momenti per discutere, esplorare la condizione umana, riflettere sulla religione e sulla morale. Nonché, presto, al grido di: “panem et circenses”, si risolsero anche in un potente strumento di propaganda politica, conferendo prestigio a chi le organizzava, e divenendo, in una società che contava un numero ingente di teatri monumentali, l’antesignano di tutti i mass media. E non si cada nell’errore di credere che il teatro classico abbia ceduto all’usura del tempo: della sua vitalità, oggi, parla quello greco di Siracusa, di cui, per l’occasione, si ospitano montaggi video di messe in scena contemporanee.
L’esposizione è promossa da Roma Capitale, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, con l’organizzazione di Zètema Progetto Cultura. Gratuite, le audiodescrizioni, video LIS, disegni a rilievo e riproduzioni tattili di opere e di strumenti musicali lungo l’esposizione, per volontà della Sovrintendenza.

Info: www.arapacis.it