Meta incontra il Professor Guido Barbujani

Con Guido Barbujani, genetista e scrittore, professore di Genetica all'Università di Ferrara parliamo di migrazione e i flussi migratori

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Guido Barbujani - L'invenzione delle razze

“Oggi chi ragiona in termini razziali è come chi pensa che la Terra stia ferma e il sole le giri intorno”. Meta incontra Guido Barbujani, genetista e scrittore, professore di Genetica all’Università di Ferrara. La nostra storia comincia con una migrazione e i flussi migratori, oggetto del dibattito politico quotidiano, sono la naturale prosecuzione di questo inarrestabile processo che ci accompagnerà anche nel futuro. L’uso e l’abuso del termine razza conducono a pericolose derive che non hanno alcun fondamento scientifico. Le vicende di questi ultimi anni ci mostrano che è necessario ripartire dai fondamentali dell’ “umanità” e della scienza. Abbiamo chiesto aiuto al Prof. Guido Barbujani, un’autorità nel campo della genetica.

Vogliamo affrontare con Lei il tema della razza a partire da un concetto più alto che è quello di umanità. La storia umana è una storia di migrazioni. La prima di queste migrazioni è stata il passaggio dalla vita sugli alberi alla vita terrestre. Quali sono state le conseguenze di questa scelta?

“Molte. I fossili ci dicono che tutto è cominciato con la discesa dagli alberi, e la conseguente necessità di andare su due gambe: una stranezza fra i primati, visto che siamo gli unici, su 250 specie diverse, a farlo regolarmente. Però così, attraverso i millenni, oltre a spostarci più in fretta e su maggiori distanze, ci siamo trovati a disporre di un’altra novità, le mani, con cui ci siamo dati molto da fare. Pare proprio che l’uso delle mani abbia messo in moto il processo evolutivo che ci ha portato ad avere cervelli così grandi”;

Bipedismo, aumento della grandezza del cervello rispetto alla dimensione del corpo e sviluppo del linguaggio. Queste le caratteristiche che già Darwin aveva indicato come umane. Quando si può iniziare a parlare di Homo?

“È in qualche modo arbitrario: disponiamo di pochi resti fossili dei nostri antenati, ed è inevitabile che un processo graduale, come dev’essere stata la comparsa di Homo, ci appaia come un passaggio brusco. La definizione più accettata è che possiamo parlare di Homo quando i reperti archeologici dimostrano che i nostri antenati erano capaci di fare una cosa che nessuno scimpanzé sa fare, cioè produrre attrezzi per mezzo di altri attrezzi: per esempio, scheggiare una pietra colpendola con un’altra pietra”;

A proposito di migrazioni. La nostra storia inizia in Africa. Cosa ci ha spinti a uscire dal continente africano? Dove siamo arrivati?

“Siamo usciti dall’Africa a più riprese, senza rendercene conto perché non avevamo mappe né conoscenze geografiche. Ci ha spinto la necessità di muoversi, tipica delle popolazioni che vivono di caccia e raccolta e che quindi devono cercare altrove nuove risorse quando si sono esaurite quelle del territorio in cui si trovano”;

I termini specie e razza si riferiscono a processi transitori. Ci aiuta a chiarirli?

“In biologia, una razza è un gruppo di animali della stessa specie, che si stanno separando da altri gruppi, e alla lunga, se restano isolati, potranno dar vita a una specie nuova. Una situazione instabile, quindi. Ma in realtà anche le specie, come avevano intuito Darwin e, prima di lui, Lamarck, sono entità temporanee, che in tempi lunghi si evolvono in nuove specie oppure si estinguono”;

Prima della scoperta del DNA i tentativi di dividere gli individui in razze sono stati numerosi e i risultati hanno portato alle soluzioni più varie. Perché a suo avviso c’è questa tendenza a “dividere”?

“Abbiamo bisogno di nomi per riferirci agli oggetti, per catalogarli e per capirci. Non c’è niente di male, ma non è detto che ai nomi che ci inventiamo corrispondano per forza oggetti distinti. In certe specie, gruppi biologici distinti, che possiamo battezzare come razze, sono biologicamente evidenti (negli scimpanzé, oltre che nei cani e nelle arance e nei cavalli; ma in questi ultimi le razze le ha selezionate l’uomo), in altre no, e lì le differenze sono sfumature in una tavolozza in cui non ci si sono confini chiari. Come fra il blu e il verde ci sono infiniti gradi intermedi, anche nelle pelli umane, nel colore dei nostri occhi, nella nostra tendenza ad ammalarci e a reagire al trattamento con farmaci, e soprattutto nelle forme del cranio e del corpo, le sfumature sono tantissime”;

Ora abbiamo il DNA. Cosa è il DNA e come funziona? Ci chiarisce il concetto di allele?

“Il DNA è una grande molecola. Contiene le istruzioni che permettono alla cellula uovo della mamma fecondata dallo spermatozoo del papà di moltiplicarsi fino a produrre l’organismo adulto che siamo noi, costituito da migliaia di miliardi di cellule, e poi di funzionare. Gran parte di questo DNA, il 99,9% per la precisione, è identico in tutti noi, ma in quell’uno per mille che resta stanno le basi delle nostre differenze, appunto nel colore della pelle, nel gruppo sanguigno, nella forma del viso e in tante altre cose. Con la parola alleli definiamo appunto le varianti del DNA: quelle che fanno sì che io abbia gli occhi verdi, e altri invece nocciola, o azzurri, o neri”;

Dove c’è mobilità non ci sono razze. il caso del krill e delle lumache e dei Pirenei

“Un po’ l’abbiamo già detto, ed è un’altra intuizione di Charles Darwin. Gli allevatori di cani hanno incrociato fra loro cani sempre più piccoli, fino ad arrivare ai chihuahua, o più grandi, fino a ottenere gli alani, e lo stesso probabilmente è successo in natura. Il risultato è stato la formazione prima di razze e poi di specie diverse. Ma perché funzioni, è necessario che i cani piccoli restino isolati da quelli grossi e non si riproducano con loro, se no bisogna ricominciare da capo. Allo stesso modo, le lumache dei Pirenei, e altre specie poco mobili, spesso hanno razze ben distinte, perché, una volta che si separano, i loro gruppi restano isolati. Invece, dove la mobilità è alta, per esempio in tante specie marine come il krill o i tonni, le differenze genetiche vengono continuamente rimescolate, e quindi non si formano gruppi razziali distinti. Noi siamo più come il krill che come le lumache”;

Ora abbiamo il DNA. Parte seconda (Oppure: Nonostante il DNA.). Ne “L’invenzione delle razze” Lei ci racconta dei diversi tentativi di trovare la prova genetica dell’esistenza delle razze. Cosa ci dice il genoma?

“Ci dice che siamo tutti diversi, ma che è sbagliato descrivere le nostre differenze come se tutti quelli che appartengono a un gruppo (geografico come gli africani, o culturale come quelli che parlano francese) fossero biologicamente simili, perché non è vero. Oggi chi ragiona in termini razziali è come chi pensa che la Terra stia ferma e il sole le giri intorno”;

A volte chi utilizza il termine razza vuole riferirsi alle popolazioni. Molto spesso, invece, è sinceramente razzista. Come Lei scrive, siamo tutti africani. Cosa possiamo dire del colore della pelle che è uno degli elementi più inflazionati quando si parla di razza e di razzismo?

“Possiamo dire che il colore della pelle dipende dai granuli di due pigmenti prodotti dalle cellule della pelle, eumelanina (sul bruno) e feomelanina (sul giallo). A seconda di quanti e quanto grandi siano i granuli, e della percentuale dei due pigmenti, abbiamo pelli di vario colore. Ma c’entra anche l’ambiente, perché al freddo la pelle si arrossa e sotto il sole si abbronza. È probabile che i nostri primi antenati africani, 6 milioni di anni fa, avessero la pelle chiara, come ce l’hanno gorilla e scimpanzé, sotto il pelo. Abbiamo perso il pelo, e allora la selezione naturale ci ha protetti dalle radiazioni solari rendendo la nostra pelle sempre più scura. All’uscita dall’Africa, il meccanismo di selezione si è invertito a favore di pelli più chiare, che permettono un miglior metabolismo della vitamina D. Lo studio del DNA antico ha dimostrato che però, fino a 7000 anni fa, gli europei (nelle attuali Inghilterra, Lussemburgo, Spagna e Svizzera) avevano ancora la pelle molto scura”;

Sempre parlando de “L’invenzione delle razze” Lei scrive: “Comunque vada è facile prevedere che tra dieci anni questo capitolo sarà obsoleto”.Questo è uno dei messaggi positivi che ci dona la scienza: porsi continuamente delle domande, mettere in discussione quanto si è scoperto, essere aperti a tutte le soluzioni, essere curiosi. Come a dire: “Se uno vuole certezze granitiche può serenamente rivolgersi alla religione”.

“È proprio quello che continuo a pensare”.

Web:http://www.guidobarbujani.it

Libri: https://www.ibs.it/libri/autori/Guido%20Barbujani