Minà

Il ricordo di Gianni Minà affidato alla penna di Claudia Moretta

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Gianni. A me è sempre bastato questo nome per pensare in automatico a due dei miei giornalisti preferiti: Mura e Minà. Due giornalisti assai diversi, per temperamento, modo di fare, di porsi, di raccontare; eppure così vicini nel loro saper ispirare, tracciare la strada, inventare, innovare e fare un giornalismo vero, autentico.

Gianni Mura ci ha lasciati a inizio 2020, Gianni Minà ieri (27 marzo, ndr). E io, ancora una volta, mi trovo a scrivere di un mio mito che non c’è più. Forse di un giornalismo che non c’è più. Quello che fa parlare i protagonisti, che non ha smanie di apparire, che fa sembrare Robert De Niro, Fidel Castro, Muhammad Ali, Sergio Leone e Diego Armando Maradona amici della porta accanto. Perché Minà sapeva instaurare con tutti loro un rapporto di empatia che andava oltre il lavoro. A sentire e leggere i suoi aneddoti, sembrava troppo. Troppi personaggi noti, troppa semplicità nell’avvicinarli, nel portarli a mangiare in una qualsiasi trattoria di Trastevere. Eppure ogni sua parola era scevra di boria e vera fino all’ultima virgola. Ogni sua parola era studiata, soppesata, pensata perché per lui l’intervista era uno strumento potentissimo se usato col cervello.

Lui fu il primo a raccogliere le parole di Marco Pantani dopo la squalifica al Giro d’Italia del 1999 per i valori dell’ematocrito troppo alto. Fu lo stesso Pantani a cercarlo dicendogli: «Almeno lei mi starà ad ascoltare».

Poco tempo fa Minà aveva lanciato una raccolta fondi per creare un archivio delle sue tante interviste, Minà’s rewind. Ho partecipato nel mio piccolo e ho cominciato a seguire questa avventura sui social. Fatevi un favore e iniziate se non lo avete ancora fatto: c’è un pezzo di storia lì, c’è un mondo intero che è passato sotto i suoi microfoni e ha parlato a cuore aperto come solo Minà sapeva far fare ai propri ospiti. A vivere un decimo della sua vita, ci sentiremmo già tutti arrivati, soddisfatti e appagati. Lui sembrava non esserlo mai abbastanza, con quel sorriso contagioso era sempre alla ricerca di altro, di altri, da raccontare e far parlare. Sempre però rispettoso verso le sue idee. È stato per questo anche un personaggio scomodo, che non ha mai nascosto le sue simpatie politiche e non è mai sceso a compromessi.

Gli abbiamo voluto bene in tanti, e questo voler bene a una persona che nemmeno si conosce è una gran cosa: vuol dire che c’ho che ha fatto per noi ha travalicato la conoscenza diretta e quindi la possibilità di volergli bene anche se faceva male qualcosa. È stato un mito per tanti. Per me.

Ho ancora sul comodino il suo ultimo libro uscito per Minimum Fax che ho chiesto come regalo di Natale: “Maradona: «Non sarò mai un uomo comune». Il calcio al tempo di Diego”. Posso volere di più in eredità da un mito?