Non c’è solo il Covid, crescono episodi di violenza contro le donne

Susy, Marisa, Alessandra, Maria Angela, Viviana, Gina, Lorena, Rossella, Bruna, Barbara, Larisa non sono morte di Covid ma uccise in casa dai loro compagni

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Stop violenza sulle donne

In queste lunghe settimane abbiamo dovuto imparare a convivere con la morte. Morte che si è tradotta in anonimi numeri. Oggi, per esempio, 130.

Dietro quei numeri, nomi, cognomi, storie, esperienze di vita, famiglie distrutte dal dolore.

Ma insieme a questa emergenza, speriamo episodica, legata al COVID 19, se ne è registrata un’altra. Questa, invece, purtroppo, ben strutturata nel nostro sistema socio culturale.

Susy, Marisa, Alessandra, Maria Angela, Viviana, Gina, Lorena, Rossella, Bruna, Barbara, Larisa non sono morte a causa del COVID 19. Sono state uccise dai loro “uomini”, nel chiuso delle loro mura domestiche, in quello che dovrebbe essere il luogo sicuro per eccellenza. La propria casa. E che le ha, invece, rese prigioniere

Violenze domestiche che se da una parte sono aumentate, sfruttando il terreno fertile della convivenza forzata, dall’altra hanno visto drammaticamente diminuire le denunce. Per paura. Per la difficoltà pratica di chiedere aiuto o anche per sfiducia, forse.

Si è messo in atto a un protocollo di emergenza con le farmacie grazie al quale dicendo al farmacista “Voglio una mascherina 1522” si può attivare la rete di intervento. Si è estesa la App Youpol che può essere utilizzata per segnalare i reati di violenza domestica e trasmettere in tempo reale messaggi, anche video, agli operatori della Polizia di Stato.

Ma non è bastato.

Il COVID 19 ha poi creato problemi anche per l’accoglienza nei Centri e nelle Case rifugio visto che nessuna donna poteva avere accoglienza senza che si fosse effettuato un tampone. E, di fatto, la difficoltà nel fare i test, di cui abbiamo parlato tante volte, ha significato per molte vittime di violenza un rallentamento dell’intervento.

C’è voluta la tenacia di due ministri, non a caso donne, Bonetti e Lamorgese, per obbligare le ASL ai tamponi e per far muovere i prefetti per allestire altre soluzioni alloggiative che potessero consentire l’isolamento anche fuori casa.

Ma nenche questo è bastato. Anche perché quando si è esposti a violenze fisiche, verbali e psicologiche h24, è difficile mantenere il contatto con una realtà diversa da quella che si sta vivendo. E si rischia di percepire come “normale” una situazione, invece, grave. In quel vortice in cui la vessazione innesca nella vittima sentimenti contrastanti che vanno dall’odio ai sensi di colpa.

E in un periodo come quello che abbiamo appena passato, in cui tutto è più difficile, anche parlarne è diventato estremamente complicato. Perché nel pensiero collettivo, tutto sembra essere marginale rispetto agli effetti del COVID 19.

La narrazione mediatica incentrata esclusivamente sul virus, ha di fatto dimenticato Susy e le altre 10 donne uccise. E si rischia di non udire il soffocato grido di aiuto che arriva dalle altre. Ancora vive, ancora salvabili.

Gli episodi di violenza domestica non sono un effetto collaterale della reclusione. Non si picchia una donna perché si è nervosi e stressati. È una giustificazione che non dobbiamo permettere. Mai. E a nessuno.

La violenza sulle donne è una piaga sociale complessa, che si è iniziato ad affrontare seriamente solo da qualche anno, con l’approvazione della Convenzione di Istanbul nel 2013 e il conseguente Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne, realizzato nel 2017, che ha stanziato risorse certe per i Centri antiviolenza e le Case rifugio.

Ma nonostante l’evidente urgenza, in questo Paese tutto diventa sempre molto difficile e molto lento: i fondi devono essere necessariamente, per competenza costituzionale, ripartiti e trasferiti alle Regioni, molte delle quali hanno accumulato un colpevole ritardo nel finanziamento dei centri. Per non parlare dei fondi relativi all’anno 2019, rimasti bloccati durante il governo Conte I, quello in cui il Premier era l’Avvocato del popolo insieme alla Lega per capirci, e che sono stati ripartiti solo verso la fine dell’anno 2019, con l’insediamento del nuovo governo.

Ora ci troviamo di fronte ad un’altra emergenza. Con la chiusura delle scuole e di tutti i servizi socioeducativi, il rischio è che l’unico modo per riuscire a conciliare le numerose esigenze di gestione della famiglia diventi quello di rinunciare al lavoro da parte di uno dei membri, di solito quello che guadagna meno. Le donne.

E questa sarebbe una gravissima regressione, visto che la dipendenza economica è la causa principale dell’accettazione da parte delle vittime di violenza della propria condizione.

Siamo a un punto di svolta, in cui o si torna drammaticamente indietro o si approfitta della opportunità di rivoluzionare il nostro modo di vivere per fare un grande passo in avanti.

C’è bisogno di una rivoluzione culturale. Che metta al centro la vera e completa uguaglianza tra uomini e donne. Ed è dovere di tutti noi, uomini e donne, genitori e Istituzioni, promuovere una cultura del rispetto e dell’uguaglianza di genere, educando sin da piccoli, i bambini e le bambine a questo. Affinché sappiano discernere cosa va bene e cosa no. Cosa accettare e cosa rifiutare.

Susy, Marisa, Alessandra, Maria Angela, Viviana, Gina, Lorena, Rossella, Bruna, Barbara, Larisa non sono morte a causa del COVID 19. Sono state uccise dai loro “uomini”.

Non dimentichiamolo. Non dimentichiamole.