Non trasformiamo la precauzione in persecuzione

Il Professor Luca Andreassi in Zona Mista sulle polemiche sulla movida mette in guardia da un'inutile persecuzione verso i giovani

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E’ dall’inizio della pandemia che in Italia si è sviluppato uno schizofrenico atteggiamento nei confronti di bambini e giovani, invisibili finché si tratta dei loro diritti, ed estremamente appariscenti invece, quando c’è bisogno di trovare un colpevole.

Relegati a casa, in nome dell’amore (sacrosanto) per i nonni. Messi in fondo alla lista delle priorità, e in cima a quella dei potenziali pericoli. Ci sono voluti giorni di clausura, sintomi ansioso depressivi e appelli dei genitori, per chiarire e far comprendere ai vicini di casa, pronti con le sassaiole, che anche i bambini (come i cani) avevano diritto a una passeggiata intorno casa.

Gli è stato imposto il sacrificio più grande. Quello di rinunciare alla loro età. Ai loro affetti, amici e giochi. Alla scuola. E di farlo in silenzio, senza protestare (chi non gode di diritti non può neanche protestare). Soprattutto, senza sapere per quanto tempo.

Sembrava quasi che dal loro isolamento totale, dipendesse la conservazione della specie. Tutto sta progressivamente riaprendo. Persino palestre e piscine.

Solo la scuola no. Sono consapevole che il problema non sia di facile soluzione. Sono consapevole che riaprire le scuole non significhi “soltanto” cambiamenti logistici da effettuare e distribuzione degli alunni nelle aule nel rispetto del distanziamento, ma anche (o soprattutto) servizi collaterali (scuolabus, mezzi pubblici, servizi igienici e mensa) che necessitano di essere ripensati e riorganizzati alla luce delle nuove disposizioni. Si sarebbero potute valutare ipotesi diverse: turnazioni, utilizzo di spazi all’aperto, alternanza didattica a distanza ed in presenza a giorni alterni, orari di entrata e uscita scaglionate. E proprio per la complessità della situazione, si sarebbe potuto partire per tempo affinché si potesse individuare e attuare, una soluzione accettabile. Si sarebbe potuto. Invece niente.

Ma basta guardare indietro. È tempo di guardare avanti. Facciamo ancora in tempo a capovolgere la lista, e cambiare l’ordine delle priorità. C’è bisogno di un cambio di prospettiva: dall’essere considerati il problema, a essere considerati parte della soluzione.

I bambini ed i giovani hanno il diritto di riprendere la loro vita. Dignitosa. E per un bambino una vita dignitosa è fatta dalla possibilità di giocare insieme ai suoi coetanei, di poter accedere ad un’istruzione adeguata, di poter fare la giusta attività fisica. Le carenze di apprendimento che si sviluppano nei primi anni di vita sono la causa più forte delle disuguaglianze sociali. Cosa c’è di più importante e urgente di intervenire su questo? Per gli adolescenti, poi, c’è un problema in più. La tendenza all’autoisolamento, male del nostro tempo, amplificato dall’abitudine alla comunicazione virtuale. Il rischio è che si sviluppi a dismisura la paura del contatto con l’altro, che le paure sviluppate a livello inconscio portino a scegliere di rinchiudersi in casa per non affrontare la difficoltà del vivere.

Con responsabilità e misure di sicurezza necessarie, certo. Ma la soluzione non può risiedere in 60 mila sceriffi senza formazione, che scaricano la prioria voglia di controllo e potere sugli altri. E che, comunque, arriverebbero non prima di due mesi. Quando, cioè, secondo le previsioni plumbee sugli effetti da movida, il contagio sarebbe già riesploso condannandoci ad un nuovo lockdown. E pensare che sarebbe stato sufficiente affidare a persone qualificate l’avvio di un serio programma di tracciamento delle linee di contagio. Ne sarebbero bastate meno della metà ddi questi presunti sceriffi. Ma certo, questa scelta presuppone strategia, formazione e risorse economiche. Richiede innanzitutto la capacità di lavorare sulla prevenzione, anziché sulla coercizione. Gli sceriffi invece si vedono, hanno un forte impatto mediatico e sociale, continuando ad alimentare la strategia del controllo.

Al posto degli sceriffi, servono regole chiare. Poche, semplici, comprensibili e attuabili. Anche per i gestori dei locali. Serve trovare per esempio, dei modi per regolare il flusso di gente nei luoghi d’incontro. Serve fare informazione, anche attraverso i mezzi di comunicazione che utilizzano i giovani, affinché possano interiorizzare nuove norme di comportamento. Serve sensibilizzare e educare a un modo diverso di stare insieme, almeno per un po’. Serve parlare ai giovani in un linguaggio che li possa raggiungere, coinvolgendoli attivamente in questo processo di cambiamento e non soltanto additandoli come colpevoli.

Non serve trasformare la precauzione in persecuzione. Smettiamola di giocare a guardie e ladri.

Bisogna educare i nostri ragazzi ad essere cittadini responsabili. Non sudditi. È certo un processo impegnativo. Molto più che arruolare improbabili sceriffi da impiegare in un’altra guerra tra poveri. C’è bisogno di creare un clima di fiducia da parte dei giovani nei confronti delle Istituzioni e delle Forze dell’Ordine. C’è bisogno di collaborazione da parte di tutti, affinché si possa agire nel bene della collettività, in nome di un obiettivo condiviso. C’è bisogno di dialogo. C’è bisogno di vedere l’altro con noi, e non contro di noi. Addossare la responsabilità di una eventuale seconda ondata del virus ai cittadini è ormai patetico e inaccettabile. Puntare il dito contro i giovani, è meschino oltre che pericoloso. Attenzione a scavare il solco dell’incomprensione. Attenzione ad alimentare paure e insicurezza. Attenzione a provocare straniamento e frustrazione nei confronti dell’autorità pubblica. Potremmo scoprire improvvisamente di aver costruito una società in cui non è poi così bello vivere. Dove il controllo supera la ragione.

Possiamo ancora salvarci. Forse