PCI “lavoratori dello sport non garantiti”

Roma. PCI denuncia con forza che i "lavoratori dello sport non sono garantiti". Presa di posizione dopo aver analizzato il Cura Italia

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“Il Cura Italia, non cura in modo equanime. Affatto. Nonostante le annunciate disponibilità a rimborsare precari e lavoratori in nero. Quelli che restano sicuramente fregati sono una moltitudine di lavoratori dello sport”. Introduce così la sua nota il Pci del Lazio

“Roma. PCI: Lasciano indietro i lavoratori dello Sport

Il decreto Cura Italia, stabilisce la priorità per i collaboratori sportivi che nell’anno di imposta 2019 abbiano percepito compensi inferiori ai 10.000 euro totali. – spiegano il compagno Eros Mattioli responsabile sezione VI Municipio Roma e il segretario regionale del PCI Oreste della Posta – Di fatto il governo taglia fuori con questo provvedimento, tutti i lavoratori dello sport e le loro famiglie, imponendo un tetto che per le altre categorie lavorative non esiste. Lo sport, anche questa volta, é stato relegato al ruolo di comprimario. Da comunisti, – continuano i due dirigenti del PCI Lazio – oltre a ribadire l’importanza primaria dell’attività sportiva anche ai fini del benessere dei cittadini ed in secondo luogo anche per il risparmio della spesa sanitaria, siamo necessariamente obbligati a denunciare il precariato, e talvolta il lavoro nero che si nasconde dietro la pratica sportiva. Il lavoratore che in maniera precaria, non continuativa a fronte di compensi da fame (si parla in alcuni casi di rimborsi anche di soli 5 euro l’ora), con turni massacranti come quelli che affrontano gli istruttori delle piscine e delle palestre di fitness, vedono ricadere il prezzo della chiusura per il coronavirus sulle loro spalle, senza possibilità di accedere ai 600 euro. E proprio il precariato, e lo sfruttamento dei lavoratori che ne consegue, potevano e dovevano essere portati alla luce dal decreto Cura Italia in questa occasione. Si è invece scelto di stare dalla parte dei soliti noti, i “professionisti dello sport” vere e proprie aziende, che da aziende che perseguono solo il profitto, si comportano. Chiediamo – concludono Mattioli e Della Posta – che il Coni, si faccia davvero traino positivo ed attuatore di quel registro Coni 2.0 che dovrebbe garantire allo sport sociale e per tutti, e invece troppo spesso è a garanzia di evasioni fiscali da parte di grosse società sportive, anche di secondo livello, che da una parte hanno gli sgravi dallo Stato e dall’altra sottopagano i lavoratori. E’ compito dei comunisti difendere i lavoratori del mondo sportivo, proponendo una paga oraria decente, uguale per tutti, per qualsiasi compenso, sia che si tratti di prestazione sportiva, che di contratto di collaborazione. Anche nello sport la lotta al sistema capitalista, che tutela solo chi ha di più, si fa necessaria.”. Lo afferma il Pci.