#Usa2016, Meta tra Trump, Bush e Hilary Clinton sceglie il latinos Rubio

0
1321
marco_rubio
Usa 2016, Marco Rubio alla Conferenza Gop in New Hampshire (foto tratta da www.ilfattoquotidiano.it)
marco_rubio
Usa 2016, Marco Rubio alla Conferenza Gop in New Hampshire (foto tratta da www.ilfattoquotidiano.it)

Meta Magazine ha scelto di seguire anche in quest’occasione le primarie che incoroneranno i due candidati che si sfideranno per la presidenza degli Stati Uniti nel novembre 2016. Quattro anni fa Meta seguì la lunga corsa iniziata nell’autunno del 2011, con i primi cauceses in Iowa, che si concretizzò con la riconferma di Barak Obama, il presidente tuttora in carica. I repubblicani invece scelsero dopo una dura e lunga campagna fatta di fundraising, primarie, incontri, polemiche ecc. John McCain per sfidare senza successo il primo presidente afro americano della storia ed impedirne la riconferma.

Nel 2015 invece le primarie incoroneranno due nuovi candidati o candidate che siano sia per i repubblicani che per i democratici. Se otto anni fa Obama fu un urgano che mise in ginocchio tutti i competitors democrat compresa la grande favorita Hilary Clinton, questa volta la parte del guastatore la interpreta il miliardario Donald Trump. Uomo ricchissimo, eccentrico e famosissimo, sta dettando l’agenda dei repubblicani americani, pur da indipendente, condizionando la corsa di 16 sfidanti accreditati tra cui Jeb Bush, figlio del presidente George Bush e fratello del due volte presidente George Double Bush a cavallo tra il Novecento e i primi anni Duemila.

L’America pare vivere quest’inizio di competizione elettorale in maniera sonnacchiosa. Forse stufa dal riproporsi dell’eterno ritorno del duello tra le famiglie Bush e Clinton. Perché Hillary Clinton è praticamente il candidato unico dei democratici.

“Corsi e ricorsi storici” soleva dire Giovambattista Vico, insomma la storia si ripete e la saga familiare, anzi le due saghe familiari politiche che condizionano la politica americana dagli anni ottanta del post Reagan continuano forse e sottolineo forse per l’atto finale.

Non è l’armageddon, ma poco ci manca:

per Hillary è l’ultimo treno dopo una corsa fallita alle scorse primarie, per Jeb Bush dopo un decennio di attesa, se non più visto che dice la vulgata popolare che doveva essere lui il candidato oltre una quindicina di anni fa al posto del fratello.

L’elettorato democratico ha mostrato chiaramente di non appassionarsi, come faceva per il marito Bill Clinton, per la candidatura di Hillary. Lo scandalo delle mail con dati secretati che è oggetto di polemiche politiche da parte repubblicana e non solo, è un problema serio nella terra del vestito di Monica Lewinsky e delle scappatelle mal sopportate di John Kennedy, senza dimenticare il Watergate di Richard Nixon.

Gli elettori repubblicani sembrano orientati a non ritenere Jeb Bush, un candidato su cui investire. E’ solo una sensazione, ma il fatto che Donald Trump incida così sui cuori repubblicani fa riflettere sulla consistenza di una pletora di competitori interni non di bassissimo livello (vedi il governatore del Wisconsin Scott Walker, l’ex governatore dell’Arkansas Mike Huckabee, il neurochirurgo in pensione Ben Carson; il senatore del Texas Ted Cruz; quello della Florida Marco Rubio, il senatore del Kentucky Rand Paul; il governatore del New Jersey Chris Christie e quello dell’Ohio John Kasich).

Insomma tira aria di outsider, certo gli otto anni di Obama, hanno fatto storcere la bocca a chi si aspettava di più dal due volte presidente tuttora in carica e forse favoriranno candidati consolidati per esperienza politica.

Non a caso dopo le polemiche di matrice repubblicana sulle mail private di Hillary, che avrebbero avuto come contenuto materiale top secret, un’analista repubblicana consigliava di rispolverare Joe the Plumber (Joe l’idraulico), l’’ operaio conservatore di Holland in Ohio (stato U.S.A. che torna sempre quando c’è da discutere di schede e di elezioni, tornando sempre al concetto dei corsi e ricorsi storici) che, quattro anni fa, si era scontrato con Obama sulle tasse in un dibattito pubblico e che ora si candiderà al congresso. Parliamo di Joe Wurzelbacher – che in realtà si chiama Samuel Joe e non ha mai conseguito il diploma di idraulico – come sottolineato da Massimo Gaggi sul Corriere della Sera, vedi l’articolo “La crisi di Hillary” del 13 agosto u.s. (http://www.pressreader.com/italy/corriere-della-sera/20150813/281925951743308/TextView).

In verità si pensa di rispolverare un altro “Joe” l’immarcescibile Joe Biden, “una riserva della repubblica” democrat o come candidato se Hillary Clinton non volasse nei primi stati delle primarie oppure come suo vice per puntellare la sua corsa. Una partita a golf tra Obama e Bill Clinton con successiva cena nei giorni scorsi con Hillary presente, accredita un’ipotesi tutt’altro che peregrina.

Se tutto e tutti saltassero, chi rimane?

Dal mazzo democratico dopo Joe Biden c’è l’abisso rappresentato da Bernie Sanders, un autentico “outsider”. Il senatore socialista del Vermont sarebbe addirittura favorito “secondo gli exit poll effettuati in New Hampshire, il secondo cauceses dopo l’Iowa”, come fa notare lo stesso Gaggi nel suo pezzo “pre ferragostano”.

E allora? Non rimane che Marco Rubio, l’ispanico che da anni sta tessendo una tela di contatti, incontri e alleanze per arrivare pronto all’imminente test elettorale repubblicano.

Non è pirotecnico come Donald Trump, è nuovo a differenza di Jeb Bush, ma anche di Mike Huckbee, vecchio bucaniere delle primarie. Questo senza parlare dei già candidati Rand Paul, Chris Christie. Gli altri outsider come Walker, Carson, Cruz e Kasich hanno curriculum politici o professionali interessanti, ma non sono latinos, e con la faccia del bravo ragazzo, come Rubio.

Perché il senatore della Florida (stato chiave soprattutto in chiave repubblicana) ha dietro di se un intero popolo rappresentabile. Milioni i votanti latini, in crescita costante negli ultimi dieci anni che si rimpolpano con i figli e i nipoti degli immigrati degli anni Ottanta, Novanta e di inizio millennio che crescono e acquisiscono negli anni il diritto al voto.

Può essere il suo momento, ha l’età e il phisique du role.

Per noi è il favorito sia alle primarie repubblicane, sia a novembre 2016 durante la notte elettorale che deciderà il nuovo Comandante in Capo degli Stati Uniti.

Il dibattito è aperto, i cauceses dei prossimi mesi diranno se il nostro azzardo è stato corretto o meno.

Seguiremo insieme la lunga corsa che porterà a novembre 2016 e staremo a vedere se davvero Hillary Clinton e Jeb Bush saranno gli sfidanti tra 15 mesi o se davvero Donald Trump sarà una tigre di carta o una tigre di pietra, battuta che rubiamo a Nicola Piepoli, il sondaggista italiano che ama così definire, parlando di voti, un candidato debole o un candidato forte. Noi consideriamo Rubio una tigre di pietra, il tempo dirà se abbiamo avuto ragione.