Van Gogh, abissi, vortici e emozioni

A Palazzo Bonaparte fino al 26 marzo 2023, i capolavori meno noti di Van Gogh dal Kroller Muller Museum di Otterlo

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Se servisse un buon “motivo” per visitare Palazzo Bonaparte, a Roma, certo la mostra appena inaugurata su Van Gogh potrebbe esserlo. Anzitutto, perché al centro vi è la parabola esistenziale e creativa del pittore da un punto di vista piuttosto inedito; poi, perché dietro c’è un lavoro di preparazione durato 5 anni e infine perché, trattandosi di uno dei grandi eventi post Covid, è doveroso riconoscere coraggio e lungimiranza agli organizzatori.

L’esposizione è dedicata a un’icona pop dell’arte moderna, a un artista tra i più amati in assoluto, su cui si è detto e scritto di tutto, ma va sottolineato il fatto che, delle 50 qui esposte, molte sono opere su carta e disegni: pezzi emozionanti come le tele, ma visti assai di rado. Ed è questa la chiave, il tocco originale: con “Van Gogh. Capolavori dal Kröller-Müller Museum”, grazie all’impegno del gruppo Arthemisia e la cura di Maria Teresa Benedetti e Francesca Villanti, si seguono le fasi della sua intensa carriera uscendo dai cliché e culminando in quel piccolo Autoritratto del 1887 a fondo azzurro con tocchi verdi (alla sua prima uscita pubblica dopo il restauro fatto a Otterlo) che è anch’esso un unicum nel suo genere, visto che l’artista – posto di tre quarti – guarda lo spettatore con insolita fierezza, consegnando un’idea di sé molto complessa ma non disperata o afflitta.

Alla vigilia dei 170 anni dalla nascita, nell’edificio storico in piazza Venezia, Vincent, anima fragile, che già a 26 anni viveva con totalità e ardore, mostra altri lati del suo genio, tormentato e incompreso. Visionario da sempre, ma attaccato alla terra e alla natura, sceglie di vivere con gli ultimi, con i mangiatori di patate. Per lui, la quotidianità era una sorta di “religione” che valorizzava gli umili, da sempre fuori dalla buona società e dall’arte che piaceva e aveva mercato. Nel travagliato percorso di Vincent, esperienze di vita e esperienza artistica sono inscindibili. Van Gogh vive oltre il limite di un’intelligenza formale: la sua arte si svolge in una zona di “assoluta alterità” e il potere evocativo dei suoi dipinti gli ha permesso di parlare ed esprimere idee destinate a un pubblico senza tempo.

Ovviamente, pagando le sue scelte.
Solo la generosità e l’interessamento del fratello Theo, infatti, gli evitò più volte l’epilogo che poi inevitabilmente giunse a 37 anni, con un colpo di pistola al petto, mettendo fine a quell’altalena di periodi buoni e meno buoni che lo caratterizzò da sempre.
La sua vicenda creativa (durata solo 10 anni, 1880-1890), tanto ignorata in vita quanto compresa nel futuro, si è impressa, però, con caratteri di un’intensità impensabile, generando un enorme quantità di riflessioni ex post.

Nelle 5 sezioni espositive di Palazzo Bonaparte, il percorso è lineare, cronologico. Fino all’85, siamo in Olanda: i soggetti scelti (campi o luoghi all’aperto) sono resi con colori scuri ma pieni di bellezza; dopo il trasferimento a Parigi (di cui amò le zone meno note) e la conoscenza dell’Impressionismo, si sposta a sud (anche se avrebbe preferito andare in Giappone!): qui, la piena luce e un ambiente più vicino alla sua sensibilità, benché già molto malato, lo aiutano a dipingere capolavori che trasmettono sentimenti differenti, dalla consapevolezza di sé al tormento più profondo. La sua grandezza si rivela nei vortici delle pennellate pastose e nell’espressività dei volti; vive nelle fatiche dei corpi: il dolore, suo compagno di vita, si trasforma, da tormento individuale, a simbolo universale di sofferenza, proprio dell’ineluttabile condizione umana.
La raccolta del Kröller-Müller si deve a due donne: la cognata di Vincent, che ne conservò le opere, e Helene Kroller Muller, il cui omonimo museo è stata l’opera di tutta una vita: quasi 11.500 lavori per una delle più grandi collezioni private del Novecento, in cui Van Gogh ha un tale posto di rilievo che, per quanto lo concerne, si attesta come la seconda più grande al mondo. Ma, per l’occasione capitolina, dal museo di Otterlo, altri sei “pezzi forti”: da Cranach a Renoir, passando per Picasso.