Virtus Roma, il pallone a spicchi bucato

Excursus sulla Virtus Roma e sul rapporto personale della sua squadra del cuore del nostro editorialista cestistico Luca Andreassi

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Andreassi al Pala Tiziano
Il clima da finale coinvolge anche il nostro inviato Luca Andreassi
Calvani e Andreassi
Il coach della Virtus Roma Basket Marco Calvani con Luca Andreassi

E’ il 5 giugno del 2003. La Virtus Roma sfida nel “suo” Pala Tiziano la Fortitudo Bologna in gara 5 di semifinale scudetto. E’ forse la Virtus Roma più forte di tutti i tempi. Forse addirittura più forte del Banco Roma campione d’Italia e d’Europa di una ventina di anni prima. E’ la Virtus di Santiago, di Jenkins, di Marko Tusek, di Righetti, del capitano Tonolli. Ma è soprattutto la Virtus di Carlton Myers e del divino Antony Parker. Un’armata allenata probabilmente da uno degli allenatori più scarsi che si siano mai seduti in questi decenni sulla panchina capitolina. Non è il più scarso solo perché, di lì a qualche anno, arriverà Nando Gentile, fissando, di fatto, il fondo scala dei livelli qualitativi dei vari coach virtussini. Ma torniamo alla partita. A metà del secondo quarto la Virtus è sopra di 23. Siamo 31 a 8. Un punteggio che è scolpito nella testa di ogni tifoso della Virtus che si professi tale. Volete sapere se uno che si dice tifoso della Virtus lo sia davvero? Chiedetegli 5 episodi che sono incisi nella sua testa. Vi racconterà il tiro da metà campo di Maurizio “Riccio” Ragazzi sul suono di sirena che consentirà di battere Caserta allo scadere, del fallo su Righetti mai fischiato nella infinita partita con Siena, quella dei tre supplementari, dell’urlo di Marco Calvani sotto la curva in gara 7 di semifinale scudetto nel 2013, dei 10 minuti di tributo a Dejan Bodiroga nell’ultima partita della sua straordinaria carriera e, appunto, quel 31 a 8 di quel maledetto 5 giugno contro la Fortitudo. Quella partita la Virtus Roma la perderà. La perderà per la scelta suicida di coach Bucchi di tenere in campo Horace Jenkins con una spalla lussata, a seguito di un blocco assassino di Skelin ordinato da Repesa, anziché mettere Davide Bonora che avrebbe gestito la squadra come un orologio svizzero e, probabilmente, l’avrebbe accompagnata in finale. La mia Virtus Roma parte da molto prima del 2003, ma ho voluto scegliere questo episodio per iniziare la narrazione di quello che sta diventando un indignitoso fallimento di una delle più gloriose squadre di basket italiane e internazionali. Perché il suo padrone, l’ingegner Toti, di scelte, ne ha sbagliate tante. Quasi tutte probabilmente. Ma una l’ha azzeccata. Il coach del fallimento, il coach della fine, non poteva che essere Piero Bucchi. E’ il suo ruolo (credo che Nando Gentile si sia reso indisponibile). Della serie, se devi morire in maniera non dignitosa fallo senza neanche tentare di salvare un po’ di faccia. Forse, oggi, i miei amici e colleghi di gradinate, ragazze e ragazzi con i quali siamo diventati donne e uomini negli ultimi 30 anni capiranno la mia decisione, soffertissima, di “lasciare”, proprio come in un rapporto di coppia, la mia Virtus, all’indomani del mancato rinnovo del contratto di Marco Calvani, qualche giorno dopo aver perso la finale. Perché è dalla gestione dei rapporti umani, dal rispetto personale e nei confronti dei tifosi che si capisce la china che si sta prendendo. E da quel momento in poi è stato un susseguirsi di fatti e avvenimenti che non solo hanno minato la squadra da un punto di vista tecnico, ma hanno reso la società e la Città di Roma zimbello nel mondo dello sport. Rinuncia alla partecipazione all’Eurolega, autoretrocessione in serie A2, Valerio Spinelli da Pozzuolo Direttore Sportivo – ragazzi – Valerio Spinelli, un po’ come se Totti andasse a fare il dirigente alla Lazio, lo sfratto dall’impianto sportivo in cui la squadra si allenava. E, ciliegina sulla torta, il ritorno di Piero Bucchi. Un gruppo di tifosi, un gruppo di amici hanno organizzato domenica scorsa una commovente protesta contro l’ingegner Toti. Conosco la passione di questi ragazzi e l’amore che li lega alla squadra. Ma io temo non ci sia più niente da fare. Il basket è di per sé uno sport in cui gli imprenditori non investono. Figuriamoci in una realtà inesistente come la Virtus. Spero di sbagliarmi, sarò il primo a ritornare qualora mi sbagliassi, ma mi sembra che il paziente sia già in morte cerebrale. Credo sia tardi anche per l’espianto degli organi. Per questo vi chiedo un favore. Non mi chiamate a sostenere la squadra nel play out contro Bergamo, Orzinuovi o Roseto per evitare di scendere in terza serie. Voglio credere che tutto ciò non sia mai esistito. Lasciatemi cullare dai ricordi di Larry Wright, Fulvio Polesello, Enrico Gilardi, Michael Cooper, Brian Shaw, Danny Ferry, Donato Avenia, Roberto Premier, Steve Henson, Tiziano Lorenzon, Dino Radja, Ricky Mahorn, Anthony Parker, Sasa Obradovic, Marko Tusek, Alessandro Tonolli, Davide Bonora, Daniel Santiago, Erazem Lorbek, Dejan Bodiroga, Alex Righetti, Phil Goss, Gigi Datome. Lasciatemi credere che ad allenarli ci siano coach veri: Valerio Bianchini, Giancarlo Primo, Marco Calvani. Fatemi credere sia ancora tutto vero.