Giornalista non per caso alla Risiera di San Saba

Uno dei nostri Giornalisti Non Per Caso Matteo Mignucci intervista una guida presso la Risiera di San Saba durante il viaggio di studio a Trieste

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Risiera di San Saba foto di Marco Sellaroli

Nell’ambito del progetto di Meta Magazine in alternanza scuola lavoro, gli studenti della IV C del Liceo Giovanni Vailati di Genzano realizzano un reportage sul viaggio di studio a Trieste e sul confine orientale d’Italia. Matteo Mignucci, uno dei nostri Giornalisti non per caso, intervista una guida che ha incontrato durante la visita presso la Risiera di San Saba.

Buongiorno sono Matteo Mignucci la intervisto per conto di Meta Magazine, le vorrei chiedere che cosa ha provato quando è entrata per la prima volta nella Risiera?”

“Io sono venuta in Risiera da adulta, i miei genitori non mi avevano mai parlato di questo posto e l’ho scoperto venendo qui perché era stati messi in scena due spettacoli teatrali, uno di Strehler e uno di Antonio Calenda e quando sono venuta in occasione dello spettacolo di Strehler non sono neanche entrata nelle microcelle, perché mi facevano angoscia totale. Dal 2002 faccio le visite qui, conoscendo anche la storia, inquadri la cosa in maniera diversa, ovviamente, insomma si sa benissimo quello che è successo, qualcuno anni fa mi aveva detto che facevo le visite senza un minimo di patos, sinceramente io devo fare un’esposizione storica, non sono un’attrice, sappiamo quello che è successo, non è che drammatizzo quello che dico, anzi bisogna cercare di essere un pochino sopra alle parti, vi sto facendo un racconto storico no? Non è un posto allegro, anzi vieni in un posto dove c’è stata molta sofferenza e in realtà vedendo questo spazio aperto, a tutti sembra di essere venuti in gita, di andare in una grande piazza e non è cosi e la cosa che a noi dispiace, non solo a noi operatori della Risiera ma anche agli operatori di Auschwitz, Dachau ecc. è che tante volte si fa la gita scolastica, si mettono insieme tutta una serie di obiettivi ecc. però la Risiera, come tutti i luoghi della memoria hanno bisogno di un certo tipo di preparazione, non è che siamo qui un’ora poi andiamo a fare un giro in città, infatti anche gli operatori degli altri campi hanno detto “Vengono in gita a Monaco o a Berlino, beh allora andiamo a vedere anche un campo” invece ci vorrebbe tutto un lavoro diverso. Gli insegnanti che vi portano qui, comunque, sono bravissimi, perché anni fa non rientrava neanche nel programma scolastico ed è giusto sapere, perché basta pensare che quando andavo a liceo sui libri di storia non c’era ne la Risiera ne la Foiba, ci sono tanti triestini che non hanno mai messo piede qui dentro. È una storia non proprio conosciuta a Trieste figuriamoci nel resto dell’Italia”;

“Che cosa vede nei ragazzi quando entrano nella Risiera?”

“Per quanto riguarda i ragazzi, sono cambiati rispetto al 2002,ovviamente, quando prestavano più attenzione, prendevano appunti ecc. mentre oggi è un po’ più “turismo usa e getta” se poi siete preparati dagli insegnanti e avete un progetto siete più motivati e sapete anche fare le domande, perché se non si conosce niente non si possono fare domande. Rispetto agli inizi ho semplificato moltissimo la mia spiegazione, spero comunque di riuscire a comunicare determinate cose, ho imparato a non dare per scontato nulla perché bisogna spiegare tutto. Capisco che è una visita all’aperto, in piedi, è faticosa per cui non è facile gestire la situazione, però la curva di attenzione è bassissima, quindi si cerca di raccontare aneddoti, episodi significativi più che la storia nei suoi particolari”;

“Come ha reagito la città di Trieste alla Risiera di San Saba?”

“In parte sapeva quello che era accaduto qui, in parte non lo sapeva, non immaginava che nel cuore della città potesse accadere quello che vi raccontiamo. La classe dirigente che ha sempre collaborato con i tedeschi, ha sempre detto di non sapere cosa avveniva qui dentro, ma più per salvare la faccia che altro. La popolazione, come detto, in parte si in parte no, ma siccome Trieste era ed è una città di spioni, se tu anche avevi dei dubbi a chi lo andavi a dire?! Non ti fidavi di nessuno perché mettevi in pericolo la tua vita e quella della tua famiglia. Chi abitava nei dintorni, in seguito, ha raccontato di aver sentito della musica ad alto volume che era vero perché la mettevano, però ripeto non se ne parlava perché si aveva paura, non si sapeva da chi andare e poi sappiamo che tante persone in vista di Trieste hanno collaborato, quindi c’è stato tutto l’interesse a mettere a tacere a non far emergere queste cose, poi comunque la popolazione civile aveva altri problemi come quello di cercare il cibo, i vestiti, il riscaldamento, cercava di sopravvivere alla fine”.

Intervista a cura di Matteo Mignucci

Foto a cura di Marco Sellaroli