Il World Press Photo per la prima volta al Mattatoio di Roma

Il carattere internazionale dell’esposizione del World Press Photo e le migliaia di persone che la visitano, sottolineano l’ineludibile capacità narrativa delle immagini, che hanno il ruolo fondamentale di “testimoni storici”: non ci sono differenze culturali o linguistiche di fronte alla stragrande maggioranza di questi scatti, poiché tutti sanno raggiungere livelli immediati di comunicazione con lo spettatore.

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Il World Press Photo per la prima volta al Mattatoio di Roma.

Il COVID-19 tra i protagonisti degli scatti in mostra

Fino al 22 agosto prossimo, a Roma, e per la prima volta al Mattatoio, i migliori scatti dell’anno raccontano la Storia dell’umanità con l’edizione numero 64 del World Press Photo.
La mostra, promossa da Roma Capitale-Assessorato alla Crescita culturale, ideata dalla Fondazione World Press Photo di Amsterdam e organizzata dall’Azienda Speciale Palaexpo in collaborazione con 10b Photography, ospita le 141 foto finaliste del prestigioso premio che, dal 1955, celebra, ogni anno, diversi fotografi professionisti attraverso i loro migliori lavori, contribuendo a costruire una sorta di almanacco del miglior fotogiornalismo mondiale.

Il Padiglione 9A della rediviva struttura nel quartiere Testaccio si trasforma così, per l’occasione, nell’annuario “visivo” delle news più rilevanti dell’anno che ci lasciamo alle spalle; senza sottacere la neonata sezione dedicata al Digital Storytelling, con una serie di video per raccontare gli eventi cruciali del nostro tempo.
Protagonista quasi assoluta dell’obiettivo dei fotografi ospiti – com’è immaginabile – la pandemia da COVID-19. Ma sono documentate pure le proteste per l’uccisione di George Floyd in America; l’invasione di locuste in Kenia; la rimozione delle statue di personaggi controversi.

Quest’anno, hanno preso parte al concorso 4315 fotografi da 130 Paesi (per un totale di 74470 immagini), pronti a contendersi il titolo nelle 8 diverse categorie: Contemporary Issues, Environment, General News, Long-Term Projects, Nature, Portraits, Sports, Spot News.

Al rush finale, 45 fotografi (provenienti da 28 Paesi) e, tra quelle esposte qui, ovviamente, le due foto vincitrici dei premi più importanti – il World Press Photo of the Year e il World Press Photo Story of the Year -, realizzate, rispettivamente, dal danese Mads Nissen e dall’italiano Antonio Faccilongo. II primo sale sul gradino più alto del podio con “The First Embrace”, ovvero un’anziana abbracciata da un’infermiera in una casa di riposo a San Paolo del Brasile, dopo mesi di isolamento; e il secondo, con il progetto “Habibi”, un reportage sul contrabbando di sperma nelle carceri israeliane da parte di famiglie palestinesi che vogliono preservare i loro “diritti riproduttivi” (a “Habibi” è andato anche il premio nella categoria dei Progetti a lungo termine).

Oltre che da Faccilongo, il tricolore italiano sventola tra i fotografi vincitori con Gabriele Galimberti e Lorenzo Tugnoli, premiati nella categoria “Ritratti, Storie” (il primo), con un lavoro sui proprietari di armi negli USA e per “Spot News, Storie” (il secondo), con le foto della recente esplosione nel porto di Beirut.

“Le storie e le produzioni selezionate presentano diverse prospettive di uno degli anni più importanti della storia recente. Tra i candidati ci sono storie straordinarie di speranza e resilienza. Quest’anno, abbiamo cercato qualcosa che scavasse in profondità. La prospettiva, l’unicità della storia, hanno spesso creato capolavori”, ha spiegato Joumana El Zein Khoury, direttrice esecutiva della World Press Photo Foundation. “Habibi”, per esempio, racconta storie d’amore sullo sfondo di uno dei conflitti contemporanei più lunghi e complicati, la guerra israelo-palestinese. Mostra l’impatto del conflitto in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza sulle famiglie palestinesi e le difficoltà che devono affrontare per preservare la loro dignità. “Il mio lavoro ha l’ambizione di essere un ponte culturale” – ha detto Faccilongo – Documentando le conseguenze della guerra, ho cercato di svelarne ed evidenziarne la questione umanitaria sottesa”.

Il carattere internazionale dell’esposizione del World Press Photo e le migliaia di persone che la visitano, sottolineano l’ineludibile capacità narrativa delle immagini, che hanno il ruolo fondamentale di “testimoni storici”: non ci sono differenze culturali o linguistiche di fronte alla stragrande maggioranza di questi scatti, poiché tutti sanno raggiungere livelli immediati di comunicazione con lo spettatore.

Il Coronavirus ha sì inficiato la valutazione del concorso, visto che si è dovuta svolgere online, eppure, paradossalmente, proprio in un momento in cui possiamo incontrarci e parlarci poco, quest’esposizione, nel suo insieme, rappresenta il medium ideale, che permette di far rivivere a tutti storie contemporanee e complesse, in attesa della catarsi collettiva.

Info: www.mattatoioroma.it